Strana risposta di Umberto Galimberti
Su D – La Repubblica del 7 febbraio 2015, il filosofo Umberto Galimberti, pubblica il seguente mio articolo.
“Un cattolico non diventa tale dopo aver capito a fondo il messaggio del Vangelo, ed aver letto attentamente il Catechismo della Chiesa cattolica, nonché sempre attentamente la storia della Chiesa, e altro ancora. Di norma ci si trova ad essere cattolici, perché sin da piccoli si cresce in ambiente cattolico. Alcuni cattolici, diventati adulti (o anche prima), cominciano a mettere in discussione le posizioni della Chiesa su temi importanti che riguardano la loro vita e quella degli altri. Può capitare che su questo o quel problema il loro pensiero sia diverso da quello della Chiesa, ma ciò non basta per far sì che non si sentano più cattolici. Un esempio: può accadere che un cattolico non approvi la posizione della Chiesa di rifiutare l’eucaristia ad un divorziato che vive una nuova unione, ma non per questo egli si allontana o si sente fuori dalla Chiesa. Altri invece, soprattutto se il loro pensiero diverge da quello del Magistero su diversi importanti problemi, cessano di essere cattolici. Altri ancora (e sono forse la maggior parte) rinunciano a priori a ragionare autonomamente su qualsiasi questione. Affermano: io sono cattolico, sto nella Chiesa, e accetto le regole della Chiesa. Il che significa: qualsiasi decisione la Chiesa prenda, anche su problemi etici nuovi che il progresso scientifico dovesse far nascere, a me sta bene. La mente, la sensibilità, il senso di giustizia della gerarchia ecclesiastica, diventano la loro mente, la loro sensibilità, il loro senso di giustizia. Alla coscienza antepongono l’ubbidienza”.
Umberto Galimberti intitola così la risposta: “La vera virtù dei cristiani è la libertà”, il che farebbe supporre che ha condiviso la mia analisi, che in fondo vuole essere una critica ai cattolici che seguono ciecamente gli insegnamenti della Chiesa, rinunciando alla libertà di pensiero. Ed ecco invece che cosa scrive tra l’altro il filosofo: “Le differenze che lei evidenzia tra quanti, pur non concordando con le posizioni della Chiesa, non si allontanano e sia pure con qualche riserva rimangono nel suo recinto, e quanti invece si allontanano non condividendo le posizioni di volta in volta assunte dal Magistero ecclesiastico, ai miei occhi non sono assolutamente rilevanti e neppure dipendono dall’anteporre la coscienza all’ubbidienza, o l’ubbidienza alla coscienza. Il motivo è dovuto al fatto che, prima di essere una fede da cui discende una morale, la religione è il più importante fattore antropologico che fonda l’identità di un popolo, per cui, per esempio, che si creda o non si creda in Dio, noi occidentali siamo tutti cristiani, perché la nostra antropologia è stata plasmata dai valori cristiani dell’uguaglianza degli uomini… della loro libertà… Per questo non è interessante stabilire se si è cristiani per obbedienza o per coscienza, perché si è cristiani comunque (atei compresi) perché si è occidentali”.
Non era questo il problema da me posto: se si è cristiani per obbedienza o per coscienza, ma se sia giusto essere cristiani e obbedire ciecamente alle direttive della propria autorità religiosa (io parlavo segnatamente dei cattolici, ma il discorso può essere esteso a tutti i cristiani), oppure essere cristiani senza rinunciare alla propria autonomia di pensiero. E la differenza non mi sembra irrilevante. Rinunciare a quella libertà cristiana di cui il filosofo stesso parla, è un fatto irrilevante? Per fare un esempio: è irrilevante stabilire la differenza tra chi è contrario all’aborto o all’eutanasia per propria “cristiana” convinzione, e chi lo è per cieca obbedienza all’autorità religiosa? E’ irrilevante?
Attilio Doni