Rubrica “EUROPA E NUOVO STATO SOCIALE”
Tra i vari aspetti caratterizzante il graduale smantellamento di ogni forma di Stato sociale un cenno meritano le festività. Il noto poeta latino Giovenale si divertiva a raccontare come il potere nell’antica Roma si manteneva grazie anche alla pratica di distribuire grano gratuitamente e di organizzare giochi e festività (‘Panem et Circenses’).
Fato sta che due mila anni fa i Romani godevano di 45 giorni di ‘Feriae Publicae’; 22 giorni di festività; 12 giorni di ludi singoli (una sola giornata) e 103 di ludi raggruppati su più giorni. Praticamente la metà dell’anno non si lavorava.
E’ vero, a faticare tutto l’anno c’erano gli schiavi. Ma dagli oltre 180 giorni dedicati all’ozio e al piacere siamo arrivati in Italia a meno di sessanta, contando anche le domeniche e le feste paesane (e senza la distribuzione gratuita del pane…). Se aggiungiamo i sabati, arriviamo a circa 100. Ma questo è solo un primo passo. Durante l’era Berlusconi si è cominciato a parlare di abolire alcune festività laiche tra cui il 25 aprile, oltre al primo maggio, festa dei lavoratori, e il 2 giugno, quella della Repubblica.
Ma anche per le feste religiose sono tempi duri: per l’Unione Europea, in nome del ‘religiosamente corretto’ sta camminando il progetto di non considerare più il Natale e la Pasqua come festività obbligatorie. Inoltre, con l’apertura degli esercizi commerciali a tutte le ore, anche le domeniche rischiano di diventare un optional. Insomma, per un piatto di lenticchie (lavorare la domenica comporta spesso un aumento del 10% della retribuzione giornaliera) si rischia di affondare definitivamente un diritto e un comportamento sociale che risale a prima dell’avvento del cristianesimo.
Rainero Schembri – Responsabile Comunicazione di Convergenza Socialista
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