di Manuel Santoro
La prima lotta politica e sociale a livello nazionale da noi intrapresa è relativa al diritto costituzionale della residenza per le persone senza fissa dimora. Una lotta di civiltà in nome di quegli esseri umani considerati dalla nostra società come cittadini di serie Z.
Alcuni giorni fa abbiamo condiviso con i media un resoconto sullo stato dell’arte legislativo relativamente a questa problematica la quale coinvolge migliaia di donne e uomini, italiani e non. Il nostro lavoro è stato ripreso da alcuni giornali ed uno di essi ha iniziato una sua battaglia giornalistica sul tema mandando, tramite ufficio stampa, una lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, ed ai Presidenti di Camera e Senato.
Al momento nessuna risposta, come probabilmente prevedibile. Ed è per questo che continuiamo nella nostra azione politica sul tema, e continueremo sino a quando il problema sarà affrontato e risolto nelle sedi opportune.
Andando a ricercare l’ultimo censimento Istat, del 2011, sulle persone senza fissa dimora, si ha un quadro già tragico. Non è immaginabile che la situazione generale in Italia delle persone senza fissa dimora sia migliorata negli ultimi anni. Potremmo considerare questi dati come conservativi fermo restando che essi ci danno una visione abbastanza chiara della situazione.
Cominciamo con il dire che lo studio realizzato è stato possibile grazie ad una convenzione tra Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (fio.PSD) e la Caritas italiana. Non sembra ci siano state collaborazioni successive.
Il numero stimato delle persone senza fissa dimora si aggira tra i 43-mila e le 52-mila unità, tenendo presente che la stima è di tipo campionario e che i comuni coinvolti sono 158. Non coinvolgendo l’intera popolazione, quindi, si stima che le persone senza fissa dimora nel Nord-ovest corrispondano allo 0,35% della popolazione residente. Lo 0,27% nel Nord-est, 0,20% nel Centro, lo 0,21% nelle Isole e lo 0,10% nel Sud.
Un primo appunto: sarebbe auspicabile un studio che coinvolga l’intera popolazione italiana per comprendere con chiarezza la rilevanza, oggi, della situazione delle persone senza fissa dimora.
“Le persone senza dimora sono per lo più uomini (86,9%), la maggioranza ha meno di 45 anni (57,9%), nei due terzi dei casi hanno al massimo la licenza media inferiore e il 72,9% dichiara di vivere solo. La maggioranza è costituita da stranieri (59,4%) e le cittadinanze più diffuse sono la rumena (l’11,5% del totale delle persone senza dimora), la marocchina (9,1%) e la tunisina (5,7%)”. (Istat)
Questo passaggio mette in evidenza come, da una parte, ci sia una mancanza nelle politiche di integrazione da parte del nostro Paese e, dall’altra, come il cittadino senza fissa dimora tipico sia uomo, relativamente giovane e con un basso livello di educazione il quale evidenzia una ulteriore mancanza, successiva all’integrazione, che risiede nelle poco attente politiche educative. Integrare ed educare.
Un ulteriore elemento importante è evidenziato dal fatto che gli stranieri senza fissa dimora siano più giovani degli italiani e con un titolo di studio più elevato. Difatti, quasi il 50% dei cittadini stranieri senza fissa dimora ha meno di 34 anni contro l’11% degli italiani (sempre senza fissa dimora) e il 40% degli stranieri ha almeno la media superiore contro il 22% dei senza dimora di cittadinanza italiana.
“In media, le persone senza dimora riferiscono di esserlo da circa 2,5 anni. Quasi i due terzi (il 63,9%), prima di diventare senza dimora, vivevano nella propria casa, mentre gli altri si suddividono pressoché equamente tra chi è passato per l’ospitalità di amici e/o parenti (15,8%) e chi ha vissuto in istituti, strutture di detenzione o case di cura (13,2%). Il 7,5% dichiara di non aver mai avuto una casa”. (Istati)
La complessità di questo dato è nel 64% dei senza dimora che viveva nella propria casa. E’ un dato che preoccupa perché l’effetto di un combinato tragico tra crisi economica, sociale e familiare. E’ in questo dato che, secondo me, si racchiudono le modifiche strutturali che la società in cui viviamo ha subito e che sono in costante accelerazione. Modifiche che, parallelamente al dato di quel 16% che chiede e trova ospitalità tra amici, evidenziano uno sgretolamento di quel senso di solidarietà e di salvaguardia di chi cade in disgrazia. Una società con parenti più lontani, meno amici reali e tantissimi virtuali, e con vicini di casa spesso sconosciuti per anni. Una società più veloce nei suoi meccanismi e molto più individualista.
Noi, invece, dovremmo provare ad arginare questa deriva egoistica ed egocentrica. E’ per questo che parliamo di nuovo Stato sociale.
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