La Costituzione della Svizzera, un paese di storico interesse per l’emigrazione italiana, dopo il risultato referendario di domenica conterrà la prescrizione di un tetto massimo per l’ingresso di immigrati e l’introduzione della prassi delle quote annuali per i singoli paesi, compresi quelli appartenenti alla UE.
Si tratta di un passaggio preoccupante per gli interessi dei lavoratori italiani, 56.000 dei quali frontalieri, e allarmante per il messaggio che manda ai cittadini europei a pochi mesi dal rinnovo degli organi comunitari.
Viene rimesso in discussione il trattato del 1999, entrato in vigore nel 2002, di libera circolazione dei cittadini dell’Unione e della Confederazione, che ha consentito a un milione di cittadini europei di risiedere e lavorare in Svizzera e a 430.000 svizzeri di risiedere e lavorare in Europa. Diventa più difficile, inoltre, il cammino degli accordi, vecchi e nuovi, di carattere commerciale che finora hanno reso, con reciproco vantaggio, la Svizzera ilquarto partner mondiale dell’Europa e l’Europa il primo partner mondiale della Svizzera.
Il possibile danno per l’Italia è evidente: sui frontalieri e sui comuni di residenza, che beneficiano dei ristorni dei comuni elvetici dove essi lavorano, si allunga l’ombra di un ridimensionamento di un flusso occupazionale che ha dato reddito agli italiani e sviluppo agli svizzeri. In più, rischia di restringersi o di chiudersi una delle porte più interessanti per i nuovi migranti italiani, che per la crisi economica e di lavoro hanno ripreso la strada dell’estero, soprattutto verso i paesi europei. Sono questi, in concreto, i miserevoli risultati delle posizioni visceralmente antimmigrazioniste che aleggiano anche a casa nostra, ad iniziare da quelle leghiste.
Purtroppo, non è da valutare nemmeno l’effetto di richiamo che questo pronunciamento potrà avere per i movimenti antieuropeisti che soffiano sui problemi reali indotti dalla crisi, con l’obiettivo di inseguire vantaggi elettorali e divaricare ancora di più le distanze tra i singoli paesi e le istituzioni comunitarie, che invece dovrebbero essere spinte ad assumere un ruolo unitario più attivo e penetrante.
Esprimere sdegno ed evocare le ombre del passato che, particolarmente in Svizzera, sono inquietanti si può comprendere, ma non basta. Intanto, nei prossimi incontri che il Governo italiano avrà con quello svizzero è necessario non essere reticenti sulle conseguenze non positive che possono derivare da questa scelta nei rapporti tra i due paesi. Occorre, poi, sapere indicare con pazienza agli italiani i danni che derivano dalle posizioni antieuropeiste per i loro stessi interessi, come cittadini di un paese cha ha bisogno di essere continuamente proiettato in Europa e nel mondo per aprire varchi di ripresa per la sua economia, cogliere opportunità per le sue produzioni, aumentare le possibilità di lavoro per i suoi disoccupati. Mai come in questo momento è necessario che la politica si sostanzi di razionalità e di capacità di dialogo nel tentativo di trovare un equilibrio, che la crisi ha reso difficilissimo, tra accoglienza, integrazione, tutela sociale dei cittadini di ciascun paese dell’Unione. Senza mai dimenticare che in Europa i migranti siamo stati e continuiamo ad essere noi.
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta