I prossimi giorni ci diranno se queste tre linee direttrici, che sicuramente si incontreranno, si svilupperanno insieme, intrecciate tra loro, riuscendo a dare risposte nuove ai bisogni degli italiani.
Renzi ha vinto le primarie, è il segretario del PD, ha diritto al nostro sostegno. Su questo nessuno può avere dubbi. Ma il sostegno se lo dovrà anche guadagnare con la sua azione, per portare alle prossime elezioni il PD al Governo e l’Italia in una nuova fase di crescita, sviluppo occupazionale ed efficienza politica e amministrativa. È lecita, tuttavia, una domanda: a quale prezzo? A che prezzo si può superare la condizione di stallo politico e istituzionale in cui l’Italia si trova?
Fare la riforma elettorale subito, just in case, come dicono gli anglosassoni, è necessario. Lo ha prescritto, ormai, la Corte Costituzionale. Anche se la causa di improbabili elezioni anticipate, per come si sono messe le cose dopo la rottura del Popolo delle Libertà, non può che arrivare dalla mancata tenuta della maggioranza o da una eventuale crisi interna al PD. Entrambe le condizioni dipendono da Renzi, che su un terreno così difficile dovrebbe agire con determinazione ma anche con ponderatezza politica. Invece, non sempre questo accade.
L’incontro con Berlusconi, ad esempio, poteva essere evitato facendo in modo che il dialogo tra le forze politiche e i gruppi parlamentari fosse portato avanti dai responsabili del PD e dai capigruppo. Sarebbe stato un primo e concreto segnale di superamento dello stallo istituzionale. Ha preferito, invece, fare da solo, dare un forte segnale politico e simbolico, riesumando e riaccreditando di fatto, al di là delle sue stesse intenzioni, la figura di Berlusconi come statista. Una nuova complicazione politica e istituzionale. Renzi ha bisogno di convincersi che proprio quando il gioco si fa difficile e duro avrebbe bisogno di un partito unito alle spalle e che il PD, perché sia unito, ha bisogno di un segretario che lavori sull’agenda del Governo Letta e prepari il Partito Democratico alla sfida elettorale e al governo del Paese. Responsabilità questa carica di difficoltà, di cui già oggi, con il Governo di larghe intese, portiamo il peso.
Sul piano dei rapporti interni al PD, Renzi dimostra i suoi limiti maggiori. Non è accettabile, infatti, l’insofferenza che egli dimostra nei confronti di posizioni diverse all’interno del suo stesso partito. E all’insofferenza spesso si accompagna un’eccessiva tendenza alla provocazione, che può andar bene nei rapporti con gli amici di Firenze, ma non nella conduzione del più grande partito politico italiano. Perché discutere del metodo Renzi-Berlusconi è un rischio da evitare nel PD quando tutti all’esterno ne discutono? E perché esprimere valutazioni sul merito della riforma elettorale, ad esempio sull’opportunità di riaffidare agli italiani la scelta degli eletti, è quasi un atto di sabotaggio di un eventuale accordo quando queste cose tutto il PD le sta dicendo da anni?
La proposta alternativa a quella di Renzi partiva da una valutazione diversa. Discutere nel Partito Democratico, raggiungere un accordo di maggioranza, fare in modo che proposta elettorale e riforma del sistema politico avessero almeno il sostegno di chi oggi si ritrova, insieme, ad esprimere il Governo del Paese: si tratta di un percorso politico ragionato oppure di una perdita di tempo? Renzi, a dire il vero, ha già risposto. Lo ha fatto incontrando Silvio Berlusconi. Un leader che, in più di un’occasione, si è dimostrato non affidabile nei rapporti politici. In ragione della sua forza politica, Forza Italia merita il riconoscimento di partito di opposizione e, come tale, deve essere coinvolto nel progetto di riforma elettorale e costituzionale. Ma Renzi, che – lo ripeto ancora – deve avere l’opportunità di fare il segretario del Partito Democratico, deve saper coinvolgere soprattutto nelle operazioni più delicate tutte le componenti del PD, deve saper incidere non con le battute ma con le proposte sulle scelte del Governo Letta e mettere tutti – partito e Governo – nella condizione di fare insieme un tratto di strada che non deve durare più dello stretto necessario. Né più né meno. Saranno in grado i teorici della politica semplice e del tutto subito di attendere il tempo necessario? Ce lo auguriamo nell’interesse dell’Italia. Intanto, piena solidarietà a Gianni Cuperlo.
Marco Fedi