La brutta storia infinita dei marò continua e si tinge di foschi colori in attesa che, entro il 3 febbraio, la Suprema Corte di Dheli formuli i capi d’accusa nei loro confronti.
Oggi una delegazione di nostri parlamentari ha incontrato i due marò presso l’ambasciata italiana di Dheli, mentre la stampa locale scrive che :”Il governo si è cacciato in un pasticcio affidando il caso alla Nia, che può solo applicare le leggi antiterrorismo e la pena di morte”.
La missione di parlamentari, guidata dai presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, è rappresentativa di tutte le forze politiche e, da Radio 24, il ministro degli Esteri Emma Bonino,ì si è voluta levare un sassolino dalle scarpe, ricordando che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono “due militari e certo non due terroristi”, che si trovavano a bordo del mercantile in virtù del decreto missioni La Russa: “un decreto che prevedeva la presenza di militari su navi civili, senza stabilire per bene le linea di comando”. Ed ha aggiunto che: “tutto ciò sarà utile chiarirlo e rivederlo a conclusione, credo positiva, dell’intera vicenda”.
Il governo indiano “si è cacciato in groviglio”, scrive l’autorevole The Hindustan Times, in un articolo in cui traspare chiaramente la difficoltà di New Delhi a trovare una soluzione allo stallo del processo . Il “problema”, secondo la fonte, è “che il ministero si è legato le mani fin dall'inizio affidando il caso alla National Investigation Agency (Nia), un'agenzia specializzata nell'anti-terrorismo creata dopo gli attacchi di Mumbai del 26 novembre 2009”.
Si critica anche, l’operato del nostro governo, che di fatto non è stato chiaro a sostegno dei due militari ed ha raggiunto un accordo extragiudiziale con i familiari dei due pescatori uccisi pagando 300.000 euro. Terreno scivoloso, perché un accordo di risarcimento potrebbe essere interpretato come un’ammissione di colpa e un tentativo di comprare il silenzio dei famigliari. Tentativo riuscito, visto che i parenti delle vittime hanno ritirato le accuse.
Inoltre, sempre il governo, ha pagato il milione e trecentomila euro di cauzione per far tornate i due soldati a Natale 2012, per non parlare della storica figuraccia della nostra diplomazia, che si è rimangiata la parola ed instaurare un braccio di ferro che poi ha qanche perso e nel modo peggiore.
C’è un altro fatto piuttosto inquetante. Latorre e Girone sono sì sotto la marina militare italiana, ma sotto contratto con armatori privati, prestando i loro servizi a difesa di interessi privati. Questa è una importante “zona grigia” su cui ci si sta accapigliando da tempo.
La pena di morte è stata auspicata dal leader del partito nazionalista indiano Modi. Questo personaggio politico è in piena campagna elettorale per diventare primo ministro indiano e fa leva su “meno tasse per tutti”, “non metteremo le mani nelle tasche degli indiani”, “deregulation fiscale”. Vi ricorda qualcuno? Ma spinge anche su un altro cavallo di battaglia: l’orgoglio nazionale, la tradizione, le lingue locali e il “fuori gli immigrati”, “l’India agli indiani”. Vi ricorda qualcun altro?
Ora, giornali e politici italiani si sono scatenati dopo le esternazioni di Modi, senza pensare che è un uomo politico e non uno dei giudici chiamati a presenziare il processo ai Marò, quindi nulla a che vedere con l’intera storia.
A parte Modi e il suo messaggio elettorale, a cui ha fatto seguito un ricevimento da parte dell’ambasciatore italiano a Delhi con tanto di abbracci e regalo di mazzo di fiori, la questione Marò non interessa granché all’opinione pubblica indiana. Gli articoli a riguardo, quando ci sono, vengono derubricati nelle pagine interne. Chiaro, sotto processo ci sono due italiani, ed è giusto che l’attenzione sia maggiore in Italia (anche se spesso l’attenzione è mal riposta). Ma tutto ciò dimostra che gli indiani non premono per esecuzioni capitali, pubblico ludibrio, sentimento anti-italiano, “boicottiamo la mozzarella”.
Altro aspetto importantissimo da molti ignorato è che la sentenza di morte in India viene comminata per crimini gravissimi ed è estremamente rara. Nel 2013 vi è stata una sola esecuzione, come nel 2012. Certo, sempre due esecuzioni di troppo, ma lontanissime dalle 39 del 2013 dei civilissimi Stati Uniti.
Vale la pena ricordare la vicenda di Derek “Rocco” Bernabei, l’americano di origine italiana condannato a morte nel 2000 nello Stato della Virginia. In quel caso, ci fu una mobilitazione in Italia con il coinvolgimento addirittura di Papa Giovanni Paolo II. L’alzata di scudi era comunque focalizzata sulla presunta innocenza dell’italoamericano da dimostrarsi con l’esame del DNA, allora nuovo metodo che avrebbe rivoluzionato il sistema di indagini (si era ancora al livello dell’Ispettore Derrick, altro che CSI). Passò del tutto in secondo piano il fatto se sia lecita o meno la pena di morte.
Il clima freddo nella NIA nei confronti dei marò era già evidente a metà aprile, quando un responsabile dell’Agenzia a Kochi disse: “Io non mi occupo di relazioni fra Stati. Io sono un investigatore, mi concentro sul delitto. Il mio compito è scoprire la verità. Non ci faremo influenzare dall’emotività che c’è attorno a questo caso”. E ancora: “Non siamo in tempo di guerra, non mi importa se a commettere un delitto sono stati uomini in uniforme”.
Venerdì sera, durante il ricevimento per la Giornata nazionale della Repubblica dell’India, a cui hanno preso parte diversi esponenti delle istituzioni, un centinaio di esponenti di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Comitato Nove dicembre del Veneto, con anche alcuni marò, si è svolta una protesta fuori da Palazzo Clerici, nel pieno centro di Milano, al grido “Non c’è niente da festeggiare, i marò dovete liberare”, con l’ex ministro Ignazio La Russa che si è preentato al galà gridando “vergogna” al’indirizzo di alcuni imprenditori italiani rei di aver accettato l’invito alla festa solo per business.
Certamente gli affari non possono valere la vita di due uomini, ma questo La Russa dovecva ricordarlo come ministro della difesa e quando ha redatto il molto nebulo decreto missioni, con impegno di uomini pubblici in interessi di natura strettamente privata.
Ha ragione da vendere la Bonino quando sbotta: “alcuni tra coloro che oggi si agitano tanto sono all'origine del 'caso maro'per via di una legge piu' che discutibile su cui, come Radicali, votammo contro”.
Il caso è complesso, la vicenda intricata e certo alla base vi è il fatto, come scrive Agorà Magazine, che poiché l’incidente è avvenuto su una nave privata, l’armatore non ha potuto dire di no all’invito delle autorità indiane di accostare e quindi consentire l’arresto dei due fucilieri, perché non ha alcun interesse di pregiudicare i rapporti commerciali con un paese come l’India, mentre se i militari fossero stati su una nave militare, d’appoggio, stante il diritto di navigazione e le regole militari, le cose sarebbero andate molto diversamente.
Ma la legge La Russa che dall’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a difesa di imbarcazioni private, prevede dell’esercito o di milizie private, lasciamndo da ultimare e quindi del tutto arbitrarie ed incerte le regole di ingaggio di queste ultime, con tutte le naturali conseguenze.