Esce il 14 gennaio l’album “High hopes” di Bruce Springsteen

Dopo un tour di quasi due anni, Bruce Springsteen torna il 14 gennaio con il diciottesimo album della sua carriera dal titolo “High hopes” perché aveva la necessità e la voglia di incidere senza perdere tanto tempo in uno studio di registrazione e senza il consueto bagaglio di canzoni sempre favoleggiate, scrutando tra le sue vecchie sessioni, scegliendo di dare nuova vita a canzoni che aveva già pubblicato o suonato dal vivo e raccogliendo ispirazione lungo la strada per preziosi titoli altrui da reinterpretare.

“Stavo lavorando a un disco di brani inediti che fosse tra i migliori dell’ultimo decennio quando Tom Morello, che sostituiva Steve durante le date australiane del tour, ci suggerì di aggiungere “High hopes” alla scaletta dei concerti – ha ricordato – Quel brano, scritto da Tim Scott McConnell della band losangelina Havalinas, l’avevo inciso negli anni novanta e durante le prove dei concerti abbiamo preparato il pezzo, spaccando con Tom alla chitarra. A metà tournée siamo andati a reinciderlo agli Studios 301 di Sydney insieme a “Just like fire would”, brano dei Saints, uno dei primi gruppi punk australiani. Tom e la sua chitarra sono diventati la mia musa e hanno portato l’intero progetto a un livello superiore”.

Morello si è unito a Springsteen e alla E Street Band nel marzo 2013, durante il tour australiano, in sostituzione di Steve Van Zandt e nel disco, oltre a suonare la chitarra, ha duettato con il ‘boos’ in “The ghost of Tom Joad”. Clarence Clemons e Danny Federici, scomparsi nel 2011 e nel 2008, appaiono in canzoni che Springsteen definisce “alcuni dei migliori brani inediti realizzati negli ultimi dieci anni e mai pubblicati”.

“Ho sempre pensato che queste canzoni dovessero essere pubblicate – ha ammesso – Dai gangster di “Harry’s place” ai coinquilini impreparati di “Frankie fell in kove” con ricordi di quando io e Steve ce ne stavamo a bighellonare nel nostro appartamento di Asbury park, dai viaggiatori nella terra desolata di “Hunter of invisible game” fino al soldato e all’amico che va a trovarlo in “The wall”: ero convinto che tutti questi brani meritassero una casa e un ascolto, sperando che piacciano”.

Il disco, registrato in New Jersey, Los Angeles, Atlanta, Australia e New York City, vede Springsteen collaborare con i membri della storica E Street Band, con il grande chitarrista Tom Morello e molti altri musicisti.

“Alcune di queste canzoni, “American skin” e “Ghost of Tom Joad”, le avevo già presentate dal vivo, ho pensato che fossero tra i pezzi migliori che io abbia scritto e meritavano una registrazione con tutti i crismi – ha spiegato – Anche “The wall” l’ho suonata in concerto e rimane un brano a me molto caro. Il titolo e l’idea sono di Joe Grushecky, ma il brano è nato dopo che io e Patti abbiamo visitato il Vietnam Veterans Memorial a Washington: si ispira ai miei ricordi di Walter Cichon, uno dei primi grandi rocker della costa del New Jersey che, insieme al fratello Ray (chitarrista, capitanava la rock band Motifs, fonte di ispirazione per me e per tanti giovani musicisti in attività nella zona centrale del New Jersey negli anni sessanta. Sebbene il mio personaggio in “The wall” sia un marine, Walter in realtà era nell’esercito e risultò disperso durante le operazioni in Vietnam nel marzo 1968. Mi manca ancora”.

Queste canzoni sono diventate un disco e dimostrano coesione e curiosità verso il nuovo, indossano le ferite del passato e la speranza che risiede nel futuro. L'artista ha scelto un sentiero che gli consente di continuare ad esprimere sentimenti importanti mantenendo saldo il contatto con le nuove generazioni che gli hanno dato fiducia.

Bruce Springsteen è riuscito a fare tutto ciò senza tradire troppo le aspettative di chi è sotto il palco da sempre, a scrutarne ogni mossa. E dimostra che il padrone della propria musica resta lui.

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