Poche settimane ci separano dalla fine di quest’anno tribolato. Giorni nei quali si dovranno trarre delle prime conclusioni sull’andamento del fronte socio/economico nazionale e con un Esecutivo palesemente delegittimato. Dopo aver esaminato il primo semestre di questo 2013, non ci resta che confermare lo stato di disagio che coinvolge tutta la Penisola. Il costo della vita non è più programmabile, né prevedibile. Male, quindi, sul fronte dell’economia e senza riserva alcuna. I segnali in “negativo” sono tanto pubblici da non consentirci di focalizzare diversamente la globalità dei nostri problemi. La disoccupazione è in progressivo aumento. Nuovi posti di lavoro non esistono e le famiglie non riescono a far fronte alle più comuni esigenze del vivere. Allora, come stiamo veramente? Di male in peggio. Certo che l’affermazione, in tutta la sua realtà, può apparire qualunquistica. E’ necessario essere più concreti. Per evitare una fine ingloriosa, anche in Area UE, ci sarebbe da incentivare, perché siamo ancora in tempo, la riconversione industriale. Indirizzare, in pratica, la produzione in beni di consumo facilmente esportabili anche fuori dell’Euro Zona. Accanto alla giustizia sociale, si dovrebbe attivare anche un polo di solidarietà che contribuisca a sanare i bilanci “fallimentari” di tante industrie nella Penisola. In questo periodo, nonostante la “stretta” sociale, si torna a discutere sul costo del lavoro. Il concetto, nella sua crudezza, è chiaro: per ampliare le possibilità occupazionali, c’è da ridurre le retribuzioni. Favorendo, però, anche un più specifico controllo sui prezzi dei generi di più ampio consumo. Il termine “calmierare” è visto con meno diffidenza che per il passato. Tra l’altro, si dovrebbe rivedere il gettito fiscale correlato alle imposte indirette che, non di rado, sono aumentate in relazione ad un’ipotetica bisogna. Nonostante le buone intenzioni ed i conseguenti sacrifici, già si prevede una diminuzione interna del potere d’acquisto non inferiore al 2% rispetto l’anno che ci stiamo lasciando alle spalle. Non ci pare sensato rispondere con “giustificazioni” insignificanti alle critiche dei nostri Partnes europei. L’Italia soffre per una regressione che ha origini antiche e mai ponderate nella giusta maniera. Lasciamo, per la Carità, il Diritto Costituzionale al Lavoro e l’impegno dello Stato per rendere effettivo l’importante disposto. Tra teoria e pratica, resta una realtà politica che tende a vanificare ogni possibile iniziativa. Da noi manca la stabilità . Gli interessi di cordata sono ancora forti ed è impossibile, pur se proponibile, chiederne un saggio controllo. Se di benessere non si muore, di crisi può anche capitare.
Giorgio Brignola