Il crescente divario fra “ricchi” e “poveri” è una realtà universale, angosciante, che, giustamente, scandalizza le anime buone. Fra le varie cause del fenomeno, ce n’è una di cui si parla malvolentieri, perché coinvolge tutti noi; è strettamente legata al funzionamento della dinamica immobiliare.
Fra le diverse forme di guadagno, quello da fonte immobiliare è, in assoluto, il più facile e il più sicuro. Il mattone rende sempre, perlomeno sul lungo periodo, lo sanno tutti.
Come risaputo, chi compra un appartamento, una casa, un box o un qualsiasi altro bene immobiliare, ci guadagnerà, in termini di plusvalore, senza dover intraprendere nulla, con il solo passare del tempo. Naturalmente vi possono essere risvegli amari (come al tempo della famosa crisi dei subprime nel 2008 in America), ma in genere sono eventi rari, che colpiscono coloro che si sono indebitati poco prima del crollo dei prezzi.
La rincorsa ai beni immobiliari genera nell’arco del tempo un dislivello, che si potrebbe chiamare privilegio di anteriorità, nel senso che le persone che, per prime, sono riuscite a “farsi la casa” in una determinata zona, urbana o turistica, ma comunque ambita, si troveranno per forza in una situazione migliore rispetto a quelle che verranno dopo e dovranno spendere molto di più per comprare, a causa dell’incremento dei prezzi avvenuto nel frattempo. In realtà questo fenomeno non ha avuto grosse conseguenze, durante molti decenni del ventesimo secolo, perché erano tempi di crescita, durante i quali anche i bassi salari aumentavano: per cui ognuno, o quasi, riusciva ad accedere alla proprietà almeno della prima casa (in Italia), oppure di un’abitazione fuori città per le vacanze o il fine settimana (per quanto riguarda i residenti in Svizzera). A dare un’ulteriore spinta agli acquisti di appartamenti, soprattutto negli anni sessanta e settanta, è stata l’inflazione, tanto temuta dagli economisti, ma che ha permesso a molti di rimborsare i propri mutui senza grosse difficoltà (in quanto l’importo delle rate da pagare si svalutava di anno in anno, quindi risultava sempre meno gravoso per il portafoglio delle famiglie); indebitarsi era addirittura conveniente. E così è stato per molto tempo.
Oggi tutto è cambiato. Gli stipendi stagnano. A Milano sono bassi anche per gli ingegneri. Ma fra due individui che guadagnano ugualmente poco, con uno che vive in casa propria, magari perché il papà gli ha dato una mano per comprarla, e un altro, che deve accollarsi l’onere di un affitto, il divario è notevole: il primo sta relativamente bene, il secondo decisamente male. Così, per effetto del solo fattore immobiliare, le disuguaglianze aumentano. Ma l’aspetto decisamente più malsano è che si viene a creare una disparità in parte incolmabile fra due fonti di reddito, quello attivo e quello passivo. In effetti, il guadagno da lavoro, intrinsecamente dinamico perché presuppone che uno riceva in quanto ha fornito qualche cosa (una prestazione), è spesso molto meno premiante del guadagno da capitale; indubbiamente statico (passivo) poiché compete a chi, senza grossi sforzi, incassa il prodotto di locazioni, oppure lucra su passaggi di proprietà (rivendendo un bene, suo o di un cliente) o semplicemente spende meno del vicino della porta accanto perché non ha affitto da pagare.
Nell’imperturbabile Svizzera, le cose funzionano sempre in un modo un po’ diverso rispetto a quanto succede altrove. Gli osservatori rilevano spesso che gli il popolo elvetico è un popolo di inquilini (locatari), poiché solo il 40%(?) è proprietario della propria abitazione, contro l’80% in Italia (ma anche in Francia e Inghilterra, seppure in proporzioni minori). A prima vista, sembra strano dato l’alto tenore di vita del Paese. La ragione di tale differenza non sta tanto nella mentalità (ogni individuo sente il bisogno di essere “proprietario”, lo Svizzero non fa eccezione), ma piuttosto nella forza dei fondi pensione. Nella Confederazione elvetica è molto sviluppata, e non da oggi, la cosiddetta previdenza integrativa, chiamata secondo pilastro. Poi esistono anche meccanismi di terzo pilastro. Conseguenza: gli enti previdenziali, che raccolgono i contributi del risparmio collettivo (versati da dipendenti e datori di lavoro), hanno in mano ingenti fondi che devono “investire”. Dove? In buona parte in palazzi con tanti appartamenti dati in locazione.
Ma poi ci sono le formule più sofisticate. La brama del guadagno, stuzzicata dagli insegnamenti del marketing, vede in ogni gruppo umano un potenziale mercato. Anche negli anziani (in costante aumento, come ripetono continuamente gli indicatori della statistica, disciplina che tanto impressiona i benpensanti). Ricordo che negli anni 80, tornato a Losanna dopo anni trascorsi a Milano, mi scandalizzò la frenesia dei tanti che, dopo aver racimolato gli ultimi risparmi, compravano vecchie dimore, ovviamente con l’aiuto di una banca (la garanzia denominata tecnicamente reale, imperniata su un immobile, è notoriamente quella migliore per ottenere un finanziamento)… per poi adibirle a case per anziani. Insomma, la vecchiaia diventava fonte di guadagno! Cosa c’è di male? Niente, ma a me il fatto disturba(va). Nel frattempo, l’approccio si è evoluto. Oggi gli immobiliaristi propendono per la realizzazione di aree abitative per anziani autosufficienti, spesso costruite in versione lusso e dotate di tutti i servizi annessi e connessi… Per mia moglie e per me una prospettiva del genere fa venire i brividi (a parte che non avremmo i soldi per…). Vuol dire traslocare, smontare tutto, buttar via i troppi oggetti a valore affettivo, ecc. Meglio i servizi di pasti e di assistenza a domicilio, che per fortuna esistono.
Il settore immobiliare elvetico viaggia preferibilmente sul binario della bellezza e della qualità, del lusso e del prestigio. Ultimo esempio a Ginevra con un vistosissimo edificio che accoglierà la sede dell’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo. Negli anni passati, sul Lago Lemano sono state fatte imponenti costruzioni per attirare le multinazionali. Vasta operazione che ora ha un po’ di piombo nell’ala. Per rimediare, offrono affitti gratuiti per un certo periodo, nella speranza di riempire gli spazi rimasti vuoti (a causa del sovranumero di locali commerciali, situazione che si era già verificata negli anni ‘80). Ogni Cantone ha un proprio approccio. Ma, nell’insieme, nel recente passato vi è stato un continuo fermento, con un vero e proprio boom dell’edilizia. Nel settimanale Cooperazione del 1° ottobre 2013, l’economista ticinese Alfonso Tuor rileva che ciò è dovuto anche al “forte aumento dell’immigrazione, che ha alimentato i consumi e la richiesta di nuove abitazioni”. Conseguenza: continuo rialzo del prezzo degli alloggi (sia in vendita che in affitto), diventato insostenibile per i bassi redditi. Precisazione: l’immigrazione in Svizzera non riguarda più la manovalanza, bensì lavoratori di alto livello e benestanti che spesso fruiscono di agevolazioni fiscali.
In Italia, tutti lamentano il ristagno dell’edilizia, soprattutto perché si tratta di un’attività con un indotto molto ampio, quindi di un settore trainante per l’economia, che genera posti di lavoro. Ma nell’ottica di una riduzione della disparità fra ricchi e poveri, il modello svizzero non è certamente da seguire…. Nelle aree urbane, l’Italia trarrebbe sicuramente maggiori vantaggi dal co-housing per i nuovi progetti (numerosi esempi su internet) e dalle ristrutturazioni per la rimessa in sesto di tanti edifici, vecchi, ma certamente non da buttare, anche nella prospettiva della conservazione del patrimonio nazionale. L’edilizia privata ben calibrata (co-housing, ristrutturazioni) dà lavoro ad architetti, geometri, manodopera qualificata, senza peraltro cadere nel corollario degli “accordi sospetti” (con amici stretti o addirittura con la malavita), quasi fisiologicamente insito nel meccanismo degli appalti per grandi opere pubbliche.
I politici ragionevoli sono consapevoli della necessità di ridurre le disuguaglianze, ma le soluzioni che ipotizzano per correggere le distorsioni sono quasi sempre forzature normative, di solito con modalità di tipo tributario; fra l’altro, il ricavato delle tasse che gravano sugli immobili e le transazioni connesse serve a rimpinguare le casse dello Stato. Come mai i governanti non si rivolgono direttamente ai possidenti di beni immobili, semplicemente per invitarli a moderare le loro pretese nei confronti degli inquilini ed acquirenti? Evidentemente perché lanciare messaggi a sfondo morale non rientra nella logica dell’operato democratico, nel “dna” della politica. Gli addetti al servizio del tanto osannato Stato di diritto ancora non hanno scoperto le virtù della comunicazione informale, che sarebbe un mezzo semplice per completare il farraginoso strumento legislativo, fondamentalmente coercitivo, anche se frutto di concertazioni.
Io, da irriducibile sognatore, voglio continuare a credere che l’eccessiva disparità fra ricchi e poveri si potrà ridimensionare solo con il contributo fattivo di coloro in grado di mollare qualche cosa alle proprie controparti, senza limitarsi a sganciare periodicamente un obolo a favore della carità organizzata. Personalmente, conosco casi di persone che concedono l’uso di spazi commerciali o di appartamenti a condizioni di favore; evidentemente in tempi di crisi, qualcuno capisce quanto sia illusorio rimettersi, in tutto e per tutto, a quella figura impersonale chiamata Stato.
Un cordiale saluto a tutti voi,
Max, tel. +41 91 630 02 87