di Paolo Rosa – Avvocato
Il 2 febbraio 2013 è entrata in vigore la legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) che modifica in modo sostanziale il regime dell’iscrizione alla Cassa di Previdenza Forense.
Iscrizione obbligatoria a Cassa Forense. In particolare l’art. 21, comma 8, dispone che «l’iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense» e quindi l’iscrizione alla Cassa Forense, già prevista obbligatoriamente per tutti gli iscritti agli Albi che esercitino la professione con carattere di continuità – cioè raggiungano prefissati limiti minimi di reddito o di volume d’affari professionali pari per il 2013 a € 10.300,00 e 15.300,00, viene ora fatta coincidere con il momento dell’iscrizione agli Albi, a prescindere da tali parametri reddituali.
Il comma 9, dell’art. 21, affida a Cassa Forense il compito di emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, un proprio regolamento che determini, per tutti gli iscritti, attuali e nuovi, con reddito inferiore ai parametri reddituali da stabilirsi, i minimi contributivi dovuti, nonché eventuali condizioni temporanee di esenzione o diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo.
In attesa dell’emanando regolamento, al quale ha iniziato a lavorare un’apposita commissione e della sua approvazione da parte dei Ministeri vigilanti, Cassa Forense ha deciso che non sarà richiesto il pagamento di alcun contributo minimo previdenziale da parte degli iscritti agli Albi che non siano iscritti a Cassa Forense alla data del 1° febbraio 2013.
La Cassa disciplinerà i termini e le modalità amministrative dell’iscrizione alla previdenza forense, tenendo conto degli istituti dell’iscrizione retroattiva e dei benefici ex art. 14, legge n. 141/92 per gli avvocati ultraquarantenni, nonché gli effetti previdenziali della cancellazione dagli Albi richiesta dopo l’entrata in vigore dell’ emanando regolamento.
Contribuzione minima e pensione minima. La contribuzione minima per l’anno 2013 è così determinata:
contributo minimo soggettivo: € 2.700,00
Contributo minimo integrativo: € 680,00
Contributo per l’indennità di maternità: € 132,00
Totale: € 3.512,00
Dopo le ultime modifiche approvate dal Comitato dei Delegati il 5 settembre 2012 con decorrenza 1° gennaio 2013 l’ipotesi di calcolo della copertura finanziaria nel trattamento pensionistico per un nuovo iscritto alla Cassa Forense con tipologia di carriera minima è il seguente (fonte cassa forense):
Pensione annua iniziale: € 11.206,00
Montante contributi versati: € 183.486,00
Valutazione attuale ratei di pensione: € 195.597,00
Livello di copertura finanziaria: 93,8%
Ne consegue che l’iscritto che versa per tutta la vita lavorativa il contributo minimo, pari a € 3.380,00, si finanzia la pensione minima per il 93,8% rimanendo il 6,2% a carico del sistema.
L’orientamento della Consulta. La recente sentenza n. 33/2013 della Corte Costituzionale, depositata il 6 marzo 2013, ha ribadito alcuni principi ormai consolidati nella giurisprudenza della Consulta e precisamente:
– il conseguimento della pensione al minimo è un bene costituzionalmente protetto;
– altrettanto non può dirsi per il raggiungimento di trattamenti pensionistici e benefici ulteriori;
– nella determinazione dell’ammontare delle prestazioni previdenziali la discrezionalità del legislatore è intangibile;
– spetta, infatti, al legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (Corte Costituzionale, sentenza n. 30 del 2004 e più recentemente 11.11.2010, n. 316);
– appartiene, infatti, alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della palese irrazionalità, stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e la variazioni dell’ammontare delle prestazioni attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti che tenga conto, accanto alle esigenze di vita dei beneficiari, anche delle concrete disponibilità finanziarie e delle esigenze di bilancio (Corte Costituzionale ordinanza n. 256 del 2001; sentenza n. 372 del 1998).
È quindi evidente che Cassa Forense dovrà muoversi nell’ambito di questi paletti fissati dalla Corte Costituzionale, esclusa- siccome impraticabile dal punto di vista della legittimità costituzionale- la eventuale politica del doppio binario, cioè retributivo per i già iscritti e contributivo per i 60mila.
Mi pare che l’importo della pensione annua iniziale, pari ad € 11.206,00, indicata più sopra possa essere ragionevolmente mantenuto.
Per garantire lo stesso livello di copertura finanziaria, pari al 93,8%, diminuendo per i primi anni la contribuzione minima, sarà necessario spalmare il montante dei contributi versati, pari ad € 183.486,00 sui 40 anni di percorso lavorativo tenendo conto delle fasce reddituali per età dell’Avvocatura italiana nel senso che per i primi anni si potrà prevedere anche una contribuzione minima di € 500,00 – 1.000,00 recuperando poi le differenze versate in meno nei primi anni nel proseguo del percorso lavorativo perché in ogni caso bisogna garantire il livello di copertura finanziaria nel trattamento pensionistico.
Operando diversamente diminuirebbe il livello di copertura finanziaria della pensione minima con la conseguenza che verrebbe scaricata sul sistema un’integrazione al trattamento minimo assolutamente insopportabile e tale comunque da aumentare il già consistente debito previdenziale latente.
È difficile pensare ad altre possibili soluzioni vigendo il sistema di calcolo retributivo della pensione.
Anche pensare di introdurre nell’impianto normativo forense l’assegno sociale così come previsto dalla legislazione INPS di importo ben più modesto, pari a circa la metà dell’attuale pensione minima, accentuerebbe solo, senza eliminare, le differenze reddituali.
Io credo che una categoria intellettualmente importante come quella dell’Avvocatura possa affrontare il problema in una prospettiva più dinamica ed equa.
«La ragion d’essere dei diritti sociali è una ragione egualitaria». Secondo l’interpretazione costituzionale, i diritti sociali concorrono a determinare l’elemento di stabilità della Costituzione: ma gli istituti del Welfare, che quei diritti sono volti a garantire, fino a che punto possono a loro volta considerarsi stabili, esposti come sono al mutamento delle opzioni fatte proprie dal legislatore, agli andamenti della finanza pubblica e agli orientamenti della giurisprudenza?
L’eguaglianza sostanziale, cui sono rivolti gli istituti del Welfare, entra allora in una dimensione temporale, che peraltro non è sconosciuta, sotto altri profili, per alcuni settori del Welfare stesso: gli istituti previdenziali, ad esempio, si fondano per buona parte su di un’altra accezione della solidarietà, appunto quella intertemporale, che lega fra di loro generazioni diverse (Alberto Massera, Uguaglianza e giustizia nel Welfare State, in Dir. Amm. 2009, 01, 0001).
Non va dimenticato, infatti, che «la ragion d’essere dei diritti sociali….è una ragione egualitaria» (N. Bobbio, Destra e sinistra, Roma, Donzelli, 1994 pag. 79).
La questione sociale oggi nella avvocatura sta esplodendo sia per il numero degli iscritti, assolutamente esagerato rispetto alla popolazione, sia per la costante contrazione del Pil specifico e la detenzione nelle mani dell’11% di avvocati del 50% della relativa ricchezza prodotta con enorme disuguaglianza tra Nord, Centro e Sud.
C’è quindi la necessità da un lato di un numero programmato con esclusione di chi non esercita la professione ma anche la esigenza, dall’altro lato, del contrasto rispetto ai molteplici e variegati fattori di esclusione, soprattutto di segno economico, a causa dei quali oggi intere generazioni di giovani vengono a trovarsi in una situazione di vero e proprio deficit sociale cioè in condizioni di minorità quanto a capacità di realizzazione della propria personalità e quindi in situazione di non autosufficienza, nemmeno contributiva.
Vi è quindi la urgenza, che richiama la responsabilità dei governanti della avvocatura, di costruire un ambiente giuridico-istituzionale ed economico-sociale di favor per la integrazione o che comunque assicuri le condizioni di compatibilità con i numeri esistenti i quali, dato che qui siamo arrivati e indugiare sulle cause non aiuta a risolvere il problema, non potranno essere percepiti come fattori di rischio per la sicurezza e il benessere della avvocatura.
Ci vorrà molta «fantasia giuridica» per ridurre le differenze e favorire la inclusione contrastando la esclusione, ma è bene che le cose ce le diciamo per come sono e non per come vorremmo che fossero!