La Cassa Nazionale Forense: tra la mela stregata e la strega dell’Avvocatura italiana

Cari amici e lettori, e soprattutto cari Colleghi, oramai dal mese di febbraio 2013 la tanto annunciata Riforma forense è partita e, se non ha già mietuto le prime vittime, purtroppo a lungo andare potrebbe farlo.
Nell’ambio del tristemente noto programma di “rinnovamento”, il punto che reputo essere uno dei peggiori, il più contrastante con la laicità e la libertà di pensiero e azione, nel rispetto della normativa deontologica, che caratterizza la professione di Avvocato e, per ciò stesso, a mio parere il più deprecabile è l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa nazionale Forense per tutti coloro che sono iscritti all’Albo degli Avvocati.
E, se la matematica non inganna, facendo l’equazione che esercitare come Avvocato richiede la necessaria iscrizione all’Albo va da se che l’esercizio della professione di Avvocato comporta l’obbligo di iscrizione – di pagare – al CNF.
Alla domanda “Chi ha l’obbligo di iscriversi alla Cassa ?”, la risposta da manuale è “I professionisti hanno l’obbligo di iscriversi alla Cassa Forense a partire dall’anno in cui producono un reddito un volume d’affare maggiore o uguale al limite minimo stabilito per quell’anno dal Comitato dei Delegati per la prova dell’esercizio continuativo della professione”.
E se non ci provvede a adempiere questo obbligo la “sanzione” è prima è la sospensione dall’esercizio della professione, la successiva…del doman non v’è certezza
Ebbene, queste righe hanno dell’aberrante e dell’assurdo, almeno a parere di chi scrive: “obbligo” di iscrizione? Il “Comitato dei Delegati”? “Prova” per l’esercizio continuativo della professione?
Fin dal mio praticantato mi è sempre stata insegnata una cosa che non dimenticherò mai: la professione di Avvocato è una missione e l’Avvocato ha in sé l’appartenenza a se stesso, la libertà di pensiero e la non sottomissione a ordini dati dall’alto.
Questo, già solo con l’utilizzo di parole come quelle evidenziate, senza nemmeno pensare all’applicazione pratica delle stesse, è proprio la falce che distrugge la libertà e la dignità vera e profonda del professionista. La parola “obbligo” è in antitesi con l’arte dell’avvocatura e con uno Stato di diritto, quale era e deve continuare ad essere l’Italia, un Paese che oltre a tante ricchezze artistiche, storiche, naturali, imprenditoriali ha quella di una tradizione forense che non può e non deve essere piegata da chi appare come la bella regina della favola di Biancaneve, che offre una mela nuova ma stregata. Beh una cosa è sicura: a differenza della favola vera, per l’Avvocatura italiana il principe azzurro è proprio l’Avvocatura per salvare se stessa, italiana e romana, con la sua tradizione di secoli e di anni I nostri “genitori del diritto” ci hanno tramandato una frase che non è solo un motto ma è una strategia di pensiero e azione un antidoto contro la mela stregata, per svegliarsi dal torpore e reagire: Nihil difficle volenti!
Paola Tullio
Avvocato del foro di Roma

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