E’ uscito ieri per la Mondadori, nella collana “Strade blu” e l’autore vi si racconta e soprattutto racconta la nuova sfida che propone per il Pd e per l’Italia.
Presentato al Salone del Libro di Torino “Oltre la rottamazione” di Matteo Renzi è un saggio ed una autobiografia, messi assieme da colui che “ha perso le primarie ma vinto le secondarie”, come ha detto da Giovanni Minoli per il Festival della Tv e dove si traccia il futuro che reputa necessario per questa nazione, basato su tre pilastri: il lavoro, l’ecomia e la speranza, confermando (almeno a parole) che non è adatto per fare il segretario del Pd, ma che è contento del fatto che nessuno lo viva più come corpo estraneo nel partito, un partito comunque ormai “rottamato” ed in cui quasi tutto il vecchio apparato è uscito di scena.
Un libro che dice che fare politica vuol dire dare entusiamo e saper coraggiosamente percorere strade nuove in tutti i campi.
Renzi vi racconta anche come ha vissuto le ore che hanno preceduto la nascita del governo Letta, quando sembrava dovesse toccare a lui, sostenuto da Veltroni e Ciamparino, che restano ancora adesso i suoi grande sponsor dentro al partito.
E sottolinea che il titolo intero recita che “nessun giorno è sbagliato” e che ora, dopo aver rottamato, è arrivato il momento di ricostruire.
Questa sua ultima fatica (dopo i giri in rulotte e fra le varie apparizioni televisive), rientra in una strategia precisa, lo si capisce fin dal titolo. La rottamazione è stata una fase ed ora occorre andare avanti.
Il capitolo finale è una lettera a Gregorio (il nome è inventato), un bambino immaginario nato nel 2013, perrché lavoro e giovani generazioni saranno i cavalli di battaglia dei prossimi mesi e della prossima campagna elettorale renziana, messi da qualche tempo in cima alla classifica delle priorità, sulla scia del filone di Tito Boeri sulla riforma Fornero, con semplificazioni dellla normativa sul lavoro e attuazione di sconti fiscali per i neo assunti.
Ospite del festival sulla tv di Dogliani (Cuneo), il 4 maggio, Renzi ha parlato chiaro: “in questi sei mesi sono praticamente stato candidato a tutto” e sulla ventilata presidenza dell’Anci si lascia sfuggire: “Non sono mica tanto convinto che lo farò io il presidente”, nonostante si dica in giro che si potrebbe arrivare anche un silenzioso e clamoroso via libera (almeno temporaneo), lanciato da Giovani turchi e da una parte dell’ex maggioranza bersaniana.
Ciò che preme a Renzi però non è questo (e lo si vede bene anche nel libro): ora il “rottamatore” è preoccupato di preparare quella che qualcuno già chiama la svolta “neolaburista”, con idee meno “liberiste” di quelle dell’ex renziano Ichino, perché le idee di Blair “non sono più adatte nel 2013”.
Mi resta un dubbio, in realtà da molti condiviso. Perché Mondadori, casa di Berlusconi e non la Rizzoli, con cui Renzi aveva editato i due libri precedenti: Fuori!” e “Stil Novo”, usciti nel 2011 e nel 2012.
Ma a salvare il sindaco ex rottamatore e neolaburista interviene d’Autorità L’Espresso, che sul blog del gruppo Huffington Post, scrive che il duello editoriale Rizzoli-Mondadori per avere Renzi va avanti da qualche anno, a colpi di rilanci. “Fuori!” infatti stava per uscire proprio con la casa editrice di Segrate, ma alla fine la Rizzoli riuscì a strapparglielo, accontentandosi di una promessa per il futuro.
Dall’entourage renziano smentiscono sia la lettura “politica” sia la vecchia promessa e si limitano a commentare che Mondadori è “l’editore che ha fatto la proposta complessivamente migliore”. Semplice pragmaticità neolaburista.
Due anni fa, Il Sole 24 Ore, volendo raccontare le proposte dello sfortunato neo-segretario del Labour Party britannico, svuotato da 15 anni di blairismo e nel bel mezzo di una crisi in cui tutte le versioni del “riformismo” in ambito capitalistico, avveriva che quelle di Ed Miliband non erano altre che figure retoriche e frottole per cercare l’inutile salvataggio di una politica dissenata e vuota esercitata negli ultimi 30 anni.
Essendo la “terza via” già stata occupata, anzi inventata, da un suo illustre predecessore Tony Blair a Ed Miliband, leader del partito laburista britannico, non restava che immaginarne una quarta, prsentata al congresso del Labour di Liverpool, una via dai contorni vuoti e vaghi, lontana da quella di Blair e di Brown, fatta di un ritorno tout court ai classici della dottrina, ad efficaci (almeno si riteneva) illusioni retoriche e di slogan affascinanti, basati sul bocciare l'economia dei “predatori ” – rappresentata dai fondi di private equity – e promuovere quella dei “produttori”, gettando alle ortiche il denaro facile della finanza per l'arcadia della manifattura, magari piccola invece che grande.
Certo una linea molto coraggiosa per il radicalismo che emanava ma che, poi, alla verifica del voto non ha pagato, anzi.
Un mondo migliore fatto di buone cose tocca le corde di tutti, anche oggi ed anche in Italia ed affondare la lama nei bonus dei banchieri, nella logica del boom and bust, negli algoritmi che regolano transazioni finanziarie di cui sembra essersi perso il senso e la prospettiva, è esercizio caro a tantissimi.
Il fatto è, lo diciamo pensando al duo Renzi-Boeri, che sono dei anni anni che il mondo va in cerca di una via d'uscita da una “macchina” che mangia ricchezza lasciandone quote risibili (ma individualmente enormi) nelle tasche dei “money manager” e che L’Italia, come l’Inghilterra, è un Paese “finanza-dipendente” e questa è una cosa che alla lunga non può essere tollerata.
Boeri è un bocconiano ed è il responsabile scientifico del festival dell'economia di Trento, uno che magari non si è mai sognato di premiare un autentico squalo come George Soros, ma che comunque è convinto che chi governa deve soprattutto avere la capacità di comunicare una visione, con eventi speciali e ad effetto che ricordano tanto il vecchio ruolo dell’imbonitore in politica.
Il 13 aprile del 2013, in una rilassarta serata milanese, Boeri ha parlato alla associazione “Adesso!Milano” e sembrava di sentire Renzi.
L’economista ha detto che il Partito Democratico praticamente non esiste più o forse non è mai esistito, se intenso nel senso del discorso del Lingotto, con la frantumazione del sogno prodiano-veltroniano di una grande forza riformista a vocazione maggioritaria che avesse l’autorevolezza per poter interagire con una schiera molto ampia di cittadini e strati sociali.
Ed ha concluso, come conclude Renzi (in questo libro e speso nei suoi interventi), che finchè il Pd vedrà gli elettori come corpi estranei del tutto impossibilitati a partecipare attivamente e decidere, con i circoli che sono realtà autoreferenziali, dove predominano dinamiche legate ad appartenenze che si sono create nel passato, dove i dirigenti locali sono dei “prefettini” che tentano di promulgare il verbo che arriva a cascata; allora sarà naturale un afflusso sempre maggiore veso il Movimento 5 Stelle.
In quel discorso Boeri diceva che la sfida dei prossimi mesi è quella che Rodotà ha chiamato la Democrazia Continua, cioè la possibilità che il PD costruisca una rapporto costante con gli elettori , unendo “asset” che già possiede (i circoli, le primarie) con modelli di democrazia liquida, quali meet up, piattaforme tipo liquid feedback e political builder, al fine di tradurre la parola “partecipazione” in “decisione”, al fine di far si
che la tanto inflazionata parola “partecipazione” non continui ad essere solo retorica, che nasconde un modello univoco e autoritario di convincimento e raccolta del consenso, che può anche funzionare nelle amministrative, ma mai in elezini politiche.
Quanto a Renzi, sempre secondo Boeri, ha saputo raccontare una visione di lungo periodo, e allo stesso tempo delineare un modello di partito che si basa sullo scambio, l’interazione, l’utilizzo della rete, con la convinzione che visione e partecipazione (o meglio, “democrazia continua”, intesa come partecipazione che diventa decisione) siano due anelli fondamentali per far nascere davvero quella forza progressista, sociale e liberale che in Italia è sempre mancata e con lui si potrebbe realizzare. Ma, ha anche aggiunto, secondo l’essenza della democrazia che si respira (sic) negli Stati Uniti.