Siamo accaniti bevitori dell’aromatica bevanda esotica, profumata e stimolante. Ogni occasione è buona per farci offrire, od offrire, una tazzina di buon caffè. Tra prime colazioni, pause e cene, in Italia si consumano quintali dei preziosi chicchi che vengono da lontano. L’espresso italiano è conosciuto in tutto il mondo. Molto imitato, mai uguagliato. Ora, chi ci segue, si chiederà il motivo di quest’innocente elogio alla nostra bevanda nazionale per eccellenza. Subito scritto: per verificare l’andamento dei prezzi al consumo dall’entrata in vigore dell’Euro e operare, poi, dei paragoni che ci faranno comprendere come, e perché, il nostro portafoglio e sempre più leggero.
Nel maggio del 2002, poco dopo il varo della moneta unica, un espresso al banco, di un bar senza pretese, prezzava centesimi 60. In alcune latterie, lo si poteva assaporare anche a centesimi 0,50; ma i locali erano da trovare col “lanternino”. Tutto invariato sino all’inverno dello stesso anno. Poi, espresso a centesimi O, 70 e, in non pochi casi anche centesimi O, 75 ( ovviamente sempre al banco). Una media del 18% di rincaro dovuto, si diceva, all’aumento del prezzo applicato al caffè ancora da trattare.
Dopo, una “stasi”, quasi generale, sino al 2008, la tazzina di caffè passava a centesimi O, 80, con un salto del 38%. Sino alla fine del 2010, l’aromatica bevanda ha continuato a prezzare sempre centesimi 0,80. Ma, in alcuni locali, già si offriva a centesimi 0,90. Ma non era ancora una regola. Dal 2011, improvvisamente, il prezzo è unificato a centesimi O,90. Così la lievitazione del 38% era generalizzata; senza troppo clamore da parte degli accaniti consumatori.
Bene. Alle porte dell’estate 2013, nonostante la crisi e le privazioni, il consumo di caffè non è calato. Ma è aumentato il prezzo. Siamo arrivati ad Euro 1 la tazzina. Sempre consumaziona al banco. Per la verità, si potrebbe sorseggiare anche sotto la soglia Euro, ma la fretta e l’abitudine la fanno da padrone. Spendere di più, per un caffè come si deve, appare un diritto inalienabile. Per attirare i clienti, si sono escogitati gli “abbonamenti” al caffè. Sei tazze la settimana con uno sconto del 20% su quella singola. In ogni caso, il prezzo resta di tutto rispetto e “lega” il cliente ad uno specifico locale.
Questa è la realtà su fronte caffè alla metà di quest’anno di privazioni. Noi ce ne siamo interessati per far notare che i prezzi, di tutti i generi, alimentari e non, hanno seguito una simile ragione di rincaro. Spesso senza un razionale motivo. Per chi vuole risparmiare, non mancano i “surrogati”. Gli italiani, però, li rifiutano sdegnosamente. O un caffè “verace”, o nulla. Purtroppo, però, non si può campare di solo caffè.
Giorgio Brignola