L’epilogo delle trattative per vedere la nascita di un nuovo governo si è infine consumato in tutta la sua drammatica inconcludenza. Il Premier in pectore Bersani, forte del pre-incarico esplorativo ricevuto, è così alla fine naufragato. Come ampiamente previsto non gli è stata accordata quella fiducia preventiva in quanto, come è noto, l’Italia “non è” un Paese normale.
E i partiti, anche di fronte alle catastrofi più nere, continuano imperterriti a difendere prima di tutto le loro acquisite posizioni di potere.
Bersani, con una apertura preventiva di coinvolgimento nelle consultazioni “non consueta” resa a tutto il mondo associativo e sindacale italiano, ha così voluto dare un segnale “forte” di reale cambiamento rispetto al passato.
Bisogna dargliene atto, soprattutto perchè questa è stata una mossa a dir poco “sorprendente” se riferita a quella che è sempre stata la tradizione delle consultazioni precedenti rispetto alla formazione dei passati governi.
Il leader del Partito Democratico è quindi passato, come è noto, alle consultazioni più “sontanziose”, vale a dire con le forze politiche presenti in Parlamento, convinto di arrivare a quella maggioranza tanto auspicata ma che, evidentemente, non gli è stata concessa.
Ma siamo sicuri che Bersani, nonostante i suoi innumerevoli sforzi, abbia fatto proprio tutto quanto era nelle sue prerogative e possibilità? Siamo certi che egli abbia inteso ed applicato ogni consiglio e raccomandazione utile fornitagli all’atto dell’incarico dal Capo dello Stato?
A leggere la parte finale del discorso di investitura di Napolitano viene qualche dubbio, se consideriamo in particolare l’auspicio che il Presidente della Repubblica ha rivolto a Bersani affinchè verificasse la possibilità di conseguire una fiducia preventiva “attraverso tutti gli opportuni contatti con le altre forze politiche rappresentate in Parlamento, e non solo con esse”.
L’interpretazione che il Capo dello Stato potrebbe aver voluto significare, per questa fattispecie, sarebbe secondo noi potuta anche essere un’altra…
Per esempio, con il termine “e non solo con esse” non sarebbe azzardata l’allusione riferita non alle forze sociali, ma anche alle altre forze politiche “non” presenti però in Parlamento.
Forze che oggi rappresentano, come è noto, più del 30 per cento dell’intero corpo elettorale, con più di 15 milioni di elettori ivi “non” rappresentati.
Orbene, escludendo a priori ciò, il signor Bersani ha ancora una volta lasciato intendere che dialogando esclusivamente con le rappresentanze politiche in Parlamento avesse potuto effettivamente dialogare con “tutto” il popolo politico italiano… Ma così, purtroppo per lui, non è stato!
Se in maniera semplicistica volessimo racchiudere in un coefficiente quello che è il reale rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, verrebbe scontato attribuire a “uno” quello che sarebbe l’esatto rapporto (o valore della rappresentatività) determinato dal numero massimo dei voti effettivamente conseguito da ogni Parlamentare.
Per la Camera dei Deputati il valore coincidente col numero “1 pieno” si costituirebbe raggiungendo la soglia massima di 80.000 voti per ogni eletto (cioè 50.404.240 che è il numero degli aventi diritto al voto diviso 630, il numero complessivo dei Deputati).
Per valori assoluti di consenso inferiori a 80.000, quindi, questo coefficiente man mano si innalza, e con esso aumenta progressivamente quel valore intrinsecamente fittizio di una rappresentatività a questo punto “sovradimensionata” rispetto a quella effettivamente contenuta nel mandato parlamentare.
Una sorta di “inflazione” del valore assoluto della rappresentanza affidata!
Se infatti consideriamo ciò dal punto di vista della partecipazione al voto, considerando l’astensione complessiva registrata alle elezioni del 24 e 25 febbraio, i quasi 15 milioni e mezzo di elettori che non si sono recati alle urne, o che hanno votato scheda bianca o nulla o che l’hanno addirittura rifiutata, rappresentano ben il 30,5% degli elettori complessivi.
Calcolando con questo computo il surplus della rappresentatività ricoperta dai Parlamentari non avremo più quindi il coefficiente di 1 ma di 1,43!
Nelle consultazioni appena concluse Bersani ha clamorosamente “ignorato”, oltre a chi si è astenuto, anche gli elettori di quei partiti che non hanno raggiunto il quorum, ammontanti perciò ad altre migliaia e migliaia di elettori non rappresentati.
Così facendo ha dato a ogni rappresentanza politica consultata un valore intrinseco certamente più elevato, forse alimentando, di conseguenza, alcuni atteggiamenti presuntuosi come il cosiddetto “tirarsi la calza”.
Dal punto di vista di noi astensionisti quella appena conclusa è stata pertanto una mossa alquanto infelice da parte di chi dovrebbe rappresentare un partito che, in teoria, almeno in questo momento di grave difficoltà per l’intero Paese, avrebbe invece dovuto sposare in pieno una pratica di massima “apertura democratica”.
Che certamente avrebbe inoltre costituito, in caso di ritorno alle urne, una più agevole base di partenza, sicuramente più favorevole e redditizia per i futuri termini del suo consenso.
Invece, Bersani non ha affatto colto questo segnale di “democraticità”, continuando a comportarsi, nei fatti, in maniera assolutamente “discriminante”.
E chissà, forse è proprio questa la ragione che avrebbe magari spinto qualcuno, ipoteticamente, anche a decidere diversamente…
Roma, 28 marzo 2013
Antonio Forcillo, portavoce CVDP
(Commissione di Vigilanza
per la Democrazia Partecipativa)
movimento astensionista politico per
il rilancio della sovranità popolare