“Un patto tra i democratici ed i progressisti per l’Italia”

E’ il progetto politico di Pierluigi Bersani per il futuro del paese, che viene rivolto ai partiti di centrosinistra, associazioni, movimenti, liste civiche, sindaci.
Con questo, nella sua relazione alla direzione nazionale del partito, Bersani auspica primarie aperte, cui lui parteciperebbe come candidato, per la scelta del leader dei progressisti e dei democratici italiani alla guida del Paese.

Fin qui la superficie dello stagno. Vediamo cosa si agita sotto le limpide acque. Il primo grande assente di questo ragionamento è Di Pietro, al quale viene rivolto un messaggio abbastanza chiaro: se vuoi essere della partita basta critiche: ti devi allineare e stare buono in un angolo. Il patto non nomina neanche il PSI, che all’interno di questo schema non viene neanche considerato. La casa dei democratici e dei progressisti di Bersani altro non è che un patto tra PD, SEL (e Vendola non a caso si è affrettato ad aderire all’ipotesi delle primarie), aperto a frammenti della società civile. Dietro ad una facciata liberale si agita lo spettro della vecchia “egemonia” del partito in cui si fondono i retaggi culturali comuni di SEL e parte del PD.

Lucidamente Franco Bartolomei, membro della segreteria nazionale del PSI, identifica nella proposta di Bersani “la morte della sinistra italiana”. Questo perché “appare sempre più evidente che Bersani lavora esclusivamente al completamento del progetto Partito Democratico come contenitore moderato della maggior parte del centro-sinistra. Un contenitore utile ad una politica di gestione dello stato e dei rapporti sociali esistenti ben lontana da ogni progetto di alternativa di modello”. “In questo senso cerca di realizzare lo stesso disegno non riuscito a Veltroni ”. In pratica siamo di fronte alla riproposizione di un Ulivo troncato a sinistra, aperto al centro e che espunge da se’ i socialisti.

Il segretario del PSI, Riccardo Nencini, anche se i socialisti non sono stati contemplati nel discorso di Bersani, si è affrettato a dichiarare che il PSI parteciperà alle primarie. Non è stato detto se presentando un proprio candidato o sostenendo altrui campioni. In ogni caso si tratterebbe di una partecipazione che vedrebbe il PSI minoritario all’interno di uno schema di egemonia culturale fortemente penalizzante per gli ideali e le pratiche socialiste e che condannerebbe il partito alla subalternità politica. Nonostante i proclami, infatti, né PD, né SEL aderiscono al socialismo europeo. Su questo punto è ancora più lucido Bartolomei, sostenendo, in antitesi con la proposta del segretario PD, la necessità di un accordo a sinistra del Partito Democratico che tenga unite le forze storiche della sinistra italiana che abbiano all’orizzonte non la gestione dell’ordinaria amministrazione in ossequio ai poteri forti, ma vere, reali alternative di sistema. Alternative che per il Bartolomei sono “socialiste”.

In casa PSI la questione si pone con estrema urgenza. Da un lato uno schema, quello dell’adesione alla progettualità politica di Bersani, che, inevitabilmente, porta alla subalternità nei confronti del PD. Dall’altro uno schema di alterità che, partendo dalla rivendicazione del ruolo, della storia e dalle peculiarità socialiste, e ponendo la questione socialista come centro gravitazionale su cui aggregare il dissenso, si ponga in antitesi con il tentativo di egemonia bersaniano. Urge, a questo punto, un congresso dove le idee si scontrino e dove il PSI recuperi una direzione univoca. Il momento storico lo impone: l’Italia ha bisogno di un partito socialista forte, com’è nel resto dell’Europa.

Le nostre simpatie, inutile dirlo, vanno nella direzione di un’alterità rispetto al PD. Il partito democratico, infatti, nasce per gestire società opulente e viene originariamente pensato per un mondo da cui il concetto di crisi era stato espunto. Oggi non c’è bisogno di “moderati”, ma di persone e pratiche politiche che diano riposte coraggiose ed abbiano la capacità di progettare il futuro a livello di alternative di sistema. Il PD questo non lo può fare o, diciamo meglio, lo potrà fare solo ed esclusivamente dopo una “ristrutturazione interna”. Bersani vuole caricare “democratici e progressisti” su di una macchina che perde pezzi e che si tiene insieme solo grazie alla forza gravitazionale di un consenso sempre più eroso.

Se Bersani vorrà governare e sconfiggere le destre non avrà bisogno di servi e sensali da assimilare, ma di alleati seri, che sono un’altra cosa. Il patto tra i democratici ed i progressisti per l’Italia, non è nulla se, accanto, non ha un soggetto politico autonomo di sinistra, che faccia “la sinistra” e che sia in grado di dare al PD ciò che gli manca: la capacità di guardare oltre il proprio ombelico.

Mario Michele Pascale

PSI

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