E’ facile verificarlo quotidianamente. Gli stipendi e le pensioni crescono molto meno dei prezzi di tutti i prodotti d’ampio consumo. L’inflazione è tornata a fare sentire i suoi effetti negativi. In definitiva, tanto per essere pratici, il potere d’acquisto degli italiani è diminuito di fronte al rincaro di ciò che si compra. Senza fare dell’allarmismo, l’inflazione ha superato il 3,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando la crisi c’era, ma non c’erano i tecnici al Governo. Per la verità, le Associazioni dei Consumatori hanno calcolato un rincaro, medio, superiore al 5%. Se dalle percentuali che, forse, non dicono molto, si passa ai valori in Euro, la situazione è subito più chiara. Ogni famiglia ( media 4 persone) spenderà, per il corrente anno, Euro 1400 in più che per il 2011; di cui Euro 250 solo per generi alimentari di prima necessità. Le bollette energetiche, entro fine anno, rincareranno di un altro 10% rispetto alle attuali ed i prezzi dei combustibili ( benzina e gasolio) resteranno oltre il valore medio UE. Insomma, il disagio sociale è destinato ad aumentare a fronte di una situazione politica di stallo che non consente di fare serie previsioni sul risanamento dei conti pubblici sotto quel profilo d’equità non visibile all’orizzonte. Il “minimo” garantito non esiste più. Anche le Forze Sociali se ne sono rese conto e non c’è contropartita che tenga. Far fronte al costo della vita è sempre più difficile. Per parecchi è quasi impossibile. L’occupazione continua a calare e trovare un impiego è più difficile che per il secolo scorso. Da noi, la crisi internazionale ha solo contribuito a dare il colpo di grazia ad una realtà economica interna già precaria all’inizio del Nuovo Millennio. L’unico rimedio sarebbe la ripresa della nostra economia. Certo è che non basteranno pochi anni per tornare al livello della fine anni’90. E’ impossibile, del resto, fare delle previsioni attendibili a media scadenza. Gli italiani hanno riscoperto la povertà; per ora affrontata con gran dignità e sudati sacrifici. Ma sino a quando? L’interrogativo preoccupa la Squadra Monti e tutti i più diretti interessati. Dal malessere non si esce se non si possono prospettare differenti scelte al giro di vite che ci ha colpito e dal quale non è possibile uscire in tempi ragionevoli. L’opera di risanamento dei conti pubblici è titanica; ma ci sono dei limiti oltre i quali non si riesce a distinguere la precarietà dall’indigenza. L’Italia resta un anello debole della catena europea. Anche i “tecnici” hanno evidenziato, in tempi brevi, i loro limiti. Ora dovrebbero essere i politici a far sentire la loro voce. Il programma di risanamento della nostra economia ci sembra un tunnel senza via d’uscita. Prima di tutto, sarebbe indispensabile ridare fiducia ai mercati e nuova vitalità agli investimenti. Ora è il concetto di Stato che dovrebbe farsi risentire. Nel caso in cui si continui a togliere ed a tagliare senza dare, riteniamo impossibile immaginare “tempi” migliori. Se l’inflazione continuasse ad aumentare, provocando un più sostanzioso effetto negativo sul nostro Prodotto Interno Lordo, le previsioni non avrebbero più senso. La nostra sorte sarebbe peggiore di quella della Grecia con ripercussioni a tempo inderminato. Fuori dall’Europa non c’è che il “deserto”.
Giorgio Brignola