Monti è andato oltre le iniziali intenzioni. L’ha messa tutta per tentare di riequilibrare la nostra economia. I risultati non sono stati quelli sperati. Né per il Professore, né per gli italiani che sono l’ultimo anello di quest’interminabile catena di Sant’Antonio. Nella generalità, i prezzi sono saliti ed il ristagno dell’occupazione si è trasformato in palude. Meno lavoro, più disoccupazione, ridotte certezze sociali. Sono questi i salienti aspetti che si notano in quest’intricata situazione. Allora, cosa sta succedendo? Ora non è più possibile trovare la scusa del particolare momento politico nazionale per attribuire le “colpe”. Certo è che l’origine di questa crisi, che è più nostra che internazionale, è determinata da un particolare fenomeno involutivo che si è andato ad infrangere contro una redditività che è peggiorata in tempi brevissimi. In pratica, nonostante il crollo degli investimenti finanziari e delle conseguenti speculazioni, è venuto meno quello spirito di mutua assistenza che, almeno per il passato, era riuscito a compensare la mancanza delle entrate con una migliore distribuzione del reddito nazionale. Ritrovare le regole d’oro non è nelle corde di Monti. Da noi, non sono mai stati i grandi capitali a far marciare l’Azienda Italia. La nostra gran risorsa era i piccoli e medi risparmiatori che si accontentavano del poco sicuro, che del molto incerto. Oggi nessuno si sente d’investire il suo “tesoretto”. I giochi di Borsa non convincono nessuno, ma condizionano oggettivamente tutta l’economia. L’Italia vive ancora con un sistema economico libero all’interno, ma maggiormente esposto alla concorrenza internazionale. Essere in UE non è solo un vantaggio; anche i rischi sono ben presenti. Speravamo che il Professore instaurasse una politica più favorevole all’iniziativa privata con, ovviamente, minori carichi fiscali. Così non è capitato. Chi è stato formica, nel passato, oggi rischia di fare la tragica fine della cicala. Tramontata l’era delle partecipazioni statali, il Paese resta carente nella proporzione della libera iniziativa “agevolata”. In Europa il problema è stato affrontato prima che da noi ed, in parte, anche risolto. C’è chi ha dato al capitale privato l’opportunità di sorreggere le mancanze di quello pubblico in cambio d’infrastrutture capaci di compensare, anche se nel tempo, gli investimenti. Da noi, è assai improbabile che l’auspicata ripresa possa trovare le sue radici dando maggior spazio all’iniziativa privata che è, poi, quella che condiziona realmente i mercati. Per superare la crisi, nella sua forma acuta, bisognerebbe garantire un interscambio tra prodotti elaborati e materie prime. Attraverso una remunerazione non solo di natura economica, ma anche sotto forma d’investimento a medio termine. Come a scrivere che se la “barca” procede bene, i vantaggi saranno per tutti ed in proporzione allo “sforzo” economico investito. Le regole d’oro per non soccombere erano chiare anche prima dell’avvento dei “tecnici”. Evidentemente, si è ritenuto più agevole concentrare gli sforzi sulle realtà a venire a discapito di quelle già presenti. L’effetto domino non si è fatto attendere. Dopo i primi sentori di recessione del 2008, chi ha potuto si è messo al riparo. La maggioranza degli Italiani non è stata in grado di fare lo stesso. Anche perché l’Esecutivo Politico non è mai stato chiaro sulle reali mancanze dei conti del Paese e sino a che punto sarebbe stato possibile tamponare con titoli pubblici la voragine nazionale. Ora la crisi è al suo apogeo. Le terapie imposte sono cruente, ma efficaci. Se i bilanci non sono chimere, ci vorranno almeno ancora tre o quattro anni per tornare ai livelli di stabilità nei quali si trovava la Penisola prima del 2008. Un percorso ancora lungo che comporterà anche privazioni a chi già a dato molto. Ora, l’unica regola d’oro è recuperare, almeno, il terreno perduto senza provocare altre flessioni al nostro disastrato sistema economico. Poi, che la mano torni ai politici.
Giorgio Brignola