di Cesare Lanza
Nuova ondata di retorica e di indignazione moralistica, pressochè unanime, nel mondo del calcio. Sotto accusa, con processo sommario, gli ultrà del Genoa, colpevoli di aver provocato l’interruzione della partita col Siena (0-4 al momento della sospensione) e di aver intimato ai calciatori del Genoa di togliersi la maglia perchè “indegni di indossarla”. Al grido di “vergogna!”, “delinquenti”, “arrestateli”, “non entrino più in uno stadio di calcio!”, una impressionante invettiva contro quei tifosi esaperati.
Ilaria D’Amico – elegante e sobria di consueto, la presentatrice mia preferita – dagli studi di Sky si è spinta a definire l’incidente genovese una sorta di “stupro del calcio”. Per favore, non esageriamo.
Mi schiero con gli ultrà o, almeno, vorrei sostenerne le ragioni, ignorate fino ad ora da tutti.
Il mondo del calcio è diventato ormai, da tempo, ANCHE (non solo, specifichiamo bene) un orribile luogo di cinismi, malaffare, pasticci e imbrogli d’ogni genere, accordi illegali per truccare le partite, ecc.
C’è un interesse supremo, ovviamente quello dei soldi. In un oceano di guadagni o speculazioni sguazzano i calciatori, molti avventurieri che guidano alcuni club al solo scopo di arricchirsi, i procuratori che governano un mercato senza fine, le televisioni che accontentano ogni curiosità morbosa, anche minima, di milioni di cosiddetti appassionati, i dirigenti incapaci di restituire al calcio i connotati nativi di un fenomeno pulito, trasparente, sportivo, giornalisti che si eccitano ed eccitano, stigmatizzano e deprecano, cambiando umore come banderuole al vento; e potrei continuare a lungo, se si volesse entrare nei meandri delle strumentalizzazioni, delle sponsorizzazioni, o dei farmaci che hanno ucciso fior di giovani inconsapevoli di essere sfruttati e logorati fino all’ultimo respiro.
Pur di sbattere il mostro in prima pagina, ho letto sciocchezze autentiche: per dimostrare la“maledizione” di Genova e del Genoa, si è arrivati a rievocare un Genoa-Milan (accoltellato e ucciso un tifoso del Genoa) e la sospensione della partita della Nazionale (gli incidenti furono provocati dai tifosi serbi!).
In questa infernale cornice ci sono – gli unici, sicuri innocenti – i tifosi – non solo quelli, straordinari, del Genoa. Pagano un biglietto, quasi sempre salato, e sognano di veder la propria squadra vincente o, quanto meno, questo è il punto, impegnata a sudare e lottare, per il migliori risultato possibile. E tra i tifosi ci sono gli ultrà, gli estremisti: se commettono violenze, sono il primo a infuriarmi e a pretendere – inutilmente, visto come funziona la giustizia – che siano puniti e condannati in modo esemplare.
Ma se non commettono violenza, anche io, da sessant’anni, sono un ultrà, per il sentimento del tifo. In particolare, sono un ultrà genoano: cioè legato, per misteriose motivazioni (se interessa, ne parleremo un’altra volta) alla propria squadra, storicamente ormai sofferente e perdente da decenni. In maniera indissolubile. Se non fosse per ragoni di età e di salute, e perchè vivo a Roma e non più a Genova, ogni domenica in cui il Genoa gioca in casa, sarei lì, allo stadio, confuso tra gli ultrà, a gridare il mio entusiasmo e le mie speranze.
Noi genoani siamo una specie unica: siamo quelli che hanno imbandierato la città il giorno della beffarda retrocessione in serie C, quando avevamo appena riconquistato la serie A. Siamo quelli che hanno applaudito la nostra squadra – pochi anni fa! – quando a Genova è stata messa sotto dall’Inter di Mourinho con un punteggio superiore a quello che ci ha inflitto il Siena. Ricordo perfino uno 0-8 (otto gol in casa!) presi dal Milan di Nordhal negli anni cinquanta. Ricordo uno 0-5 incassato dall’Udinese di Zico. Ebbene? Mai si è avuta, nella storia del Genoa, una protesta popolare come quella di domenica.
Perchè oggi, allora? Perchè domenica si è passato il segno. Era, per il Genoa e per il Siena, la partita della salvezza. E i toscani l’hanno affrontata con cuore, con aggressività sportiva, consapevoli dell’importanza dei punti in gioco.
E i nostri? Poveracci, presi a legnate dagli avversari, senza capacità nè di lotta nè di reazione. Unavergogna, questa sì. E cosa hanno fatto gli ultrà? Qual è stata la loro colpa? La sola ”violenza” è stata quella di provocare l’interruzione di una mezz’ora…
Dov’erano i dirigenti, il presidente, l’allenatore? Dov’erano le forze dell’ordine? Gli ultrà hanno preteso che i giocatori si togliessero le sacre maglie rossoblù. Ebbene, da qualche annO il Genoa non è una squadra di calcio: è diventata una pensioncina dalle porte girevoli, in cui i calciatori entrano ed escono, a decine ad ogni stagione, i più deboli restano, i più forti vanno via: Milito, Thiago Motta, Borriello, El Sharawy, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Addrittura alcuni, come Bonucci e Boateng li abbiamo visti in transito, neanche un giorno vissuto a Genova, acquistati per essere subito ceduti, dirottati alla Juventus e al Milan.
Qual è l’identità della squadra, qual è il valore della maglia? Esiste forse il valore della maglia genoana per i dirigenti del club, per le televisioni che infuriano e insultano, per i giornali, per i procuratori, per i calciatori? Ma via!
Che gliene frega ai migliori calciatori, un Palacio o a un Gilardino – che probabilmente sono già venduti o certamente saranno venduti – di togliersi di dosso la maglia, o ad altri che vanno e vengono come pacchi postali?
Il valore della maglia contava – conta – solo per noi ultrà, per tutti gli altri tifosi d’accordo con gli ultrà. E perciò è partita l’intimazione di togliersela, quella maglia, con una manifestazione che può diventare di grandiosa importanza per chi ama il calcio. Non per quelli che ci sguazzano, nel calcio, per convenienza e interessi a volte perfino impronunciabili. Ma per chi ama davvero il calcio, come gli ultrà, gli ultimi mohicani romantici. Viva gli ultrà!
Si è oltrepassato il limite del diritto di protesta? Forse. Ma sono orgoglioso che dal mio Genoa parta finalmente una rivendicazione popolare dai toni forti: è il tifoso che può reclamare i suoi diritti, è il tifoso l’unico che ancora paga, e crede, in questo sport, diventato e deformato come un business-show.
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da panorama.it