Il codice deontologico: la danza tra teoria e realtà 

In questi ultimi tempi, mesi, giorni, si parla molto di deontologia: ora per capirne il rapporto con il tanto contestato istituto della mediazione, ora per convegni di aggiornamento, ora per seminari organizzati per la formazione continua di noi avvocati.
Questa volta, vorrei soffermarmi su un articolo in particolare del Codice, l’articolo 5, intitolato “Doveri di dignità, probità e decoro” con particolare riferimento ai rapporti reciproci tra noi colleghi, l’articolo 5, sovra menzionato, mi ha sempre colpito ma, ancor più, recentemente.
Già lo stesso titolo “Doveri di dignità, probità e decoro”- per cui “l’avvocato deve ispirare la propria condotta ai doveri di dignità, probità e decoro” – è o dovrebbe essere di per sé sufficiente a farci capire la fondamentale importanza non della mera conoscenza teorica del codice deontologico, ma, soprattutto, per il rispetto della dignità della nostra categoria.
“Deve essere sottoposto a procedimento disciplinare l’avvocato cui sia imputabile un comportamento non colposo che abbia violato la legge penale, salva ogni autonoma valutazione del fatto commesso. L’avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l’attività forense quando si riflettano sulla reputazione professionale o compromettano l’immagine della classe forense. L’avvocato che sia indagato o imputato in un procedimento penale non può assumere e mantenere la difesa di altra parte nello stesso procedimento”.
Ebbene, di tutto il testo qui riportato, quello che ritengo più importante perché più attuale, aimè non in positivo, è il secondo capoverso,e, ancor più nello specifico, i due concetti, in esso espressi, di reputazione professionale e immagine della classe forense.
Dunque, giorni fa mi sono personalmente recata preso il noto Ufficio notifiche all’interno del Tribunale Civile di Roma, per fare uno dei tanti giri che ciascuno di noi si trova a fare, incastrandoli con tanti altri adempimenti e facendo i famosi “salti mortali” per portare a termine non tutto ma il più possibile.
Il mio adempimento presso l’Ufficio notifiche è il piu’ arduo: notificare un atto!
Situazione tipo: distribuzione dei numeri, per notificare presso le casse, delle ore 11.50, quindi inserimento nella apposita lista “autodidatta” di noi avvocati per mettersi in coda e, ad abundantiam, effettuazione anche della fila fisica a ridosso “dell’ora X”.
Eccoci ai nastri di partenza, pronti ad accaparrarsi il numero, con tanti colleghi che, come me, hanno fatto l’inserimento nella lista e anche la fila fisica, quando, dal fondo della fila, si sente una voce forte, acuta e molto adirata urlare che, sul vetro della vigilanza, addetta alla distribuzione di questi ambiti numeri, c’è scritto che non si accettano liste ma conta solo la fila fisica. Dunque, il collega voleva far rispettare questo concetto, peccato con modi alquanto discutibili come urla, spinte ecc..
Peccato anche che, con altrettanti modi discutibili, i colleghi dell’opposizione – la lista – rivendicavano la legittimità di una consuetudine nota ai più.
Ovvio l’alterco prevedibile che si comincia a creare, in una fila gremita di colleghi, tra cui io che, come altri, ero proprio nel mezzo.
Arriva “l’ora X”: la distribuzione dei numeri. Incominciano a volare. Tra i “Montecchi”- la fila fisica – e i “Capuleti” – la lista- parole grosse, le urla aumentano e, il collega che da dietro aveva cominciato a “sollevare” la querelle, comincia ad avanzare da dietro come un panzer con la testa di un ariete che gioca una partita di rugby, senza curarsi dei danni fisici che poteva causare a chi, come me, era in mezzo e, spingendo come un ossesso, arriva avanti alla fila, battendo i pugni contro il vetro per vantare il suo “diritto al numero”.
Gli si rivolta contro una collega, che sosteneva la tesi opposta, che comincia a spintonarlo con calci, lui risponde con gomitate, lei altrettanto, ecco che interviene un collega che difende la “femminilità violata”, poi un altro che impreca e bestemmia contro il collega kamicaze, poi un’altra collega che si aggiunge alla foga: una scena di guerriglia urbana, che vedeva protagonisti collegh”I” collegh”E” e un avvocato di una certa età, il kamikaze appunto.
Tutto questo nella più assoluta indifferenza di chi è assunto come vigilante che, al di là di sicuro posto di lavoro, avrebbe dovuto fare, in quel momento, il proprio dovere.
Ebbene: la cosa triste è che questa scenetta di guerriglia è accaduta nell’Ufficio notifiche del Tribunale civile di Roma, in una fila dove c’erano solo ed esclusivamente avvocati, in una qualunque giornata di lavoro.
Torniamo un momento al secondo capoverso dell’articolo 5, qui in esame: “L’avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l’attività forense quando si riflettano sulla reputazione professionale o compromettano l’immagine della classe forense”
Ebbene, al di la di procedimenti disciplinari, mi domando e vi domando, in una situazione del genere, dove sono finite la “reputazione professionale” e “l’immagine della classe forense”?
Io credo che se non siamo noi per primi a rispettare la nostra reputazione, non lo farà nessuno e, finchè questo non accadrà avremo solo un bel codice deontologico che, come in una vorticosa danza, salta tra teoria e realtà!.

Avvocato Paola Tullio
Responsabile per la comunicazione di ATR

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