E’ dal 1960 che c’interessiamo alle problematiche che riguardano la nostra numerosa Comunità oltre frontiera. Abbiamo iniziato con i padri emigrati, poi siamo passati ai figli, nipoti e pronipoti. In oltre mezzo secolo d’impegno, anche propositivo, alla vigilia della riforma della nostra Legge Elettorale, ci sentiamo in grado d’esprimere alcune considerazioni sul ruolo dei milioni d’italiani nel mondo. Con parecchio senso d’equilibrio, riconosciamo che, nei primi quindici anni presi in esame, per la nostra Emigrazione è stato fatto poco dall’interno e nulla dall’esterno. Come a scrivere che il detto “Aiutati che Dio t’aiuta”, per il periodo in questione, non era stato efficacemente applicato. Erano, quelli, gli anni dell’associazionismo corporativo. Intenso, erroneamente, come tutela di specifici gruppi etnici e delle loro attività lavorative correlate. Nonostante che il flusso migratorio si fosse, quasi integralmente, spostato verso il Vecchio Continente, i rapporti tra italiani residenti e italiani oltre frontiera erano, in sostanza, inesistenti. Chi viveva lontano dal Bel Paese, tentava l’integrazione nella realtà ospite, chi era presente in Italia contava principalmente sulle periodiche rimesse di valuta pregiata. L’affermazione che gli italiani all’estero erano una risorsa, per la verità, non c’era ancora. Ma, in pratica, era già così da sempre. Quello che intendiamo evidenziare è che se la Patria si mostrava matrigna per chi era stato costretto ad abbandonarla, i Figli lontani facevano ben poco per riavvicinarsi, almeno sotto il profilo socio/politico, ai processi evolutivi della Penisola. La maggioranza dei nostri Emigrati guardava all’Italia come una terra con la quale ricongiungersi; magari dopo una vita di sacrificio minata da lavori usuranti. Dall’interno, i nostri politici erano impegnati a consolidare le loro posizioni e la realtà dei Connazionali oltre frontiera restava in coda ai loro progetti. Con la progressiva presa di coscienza che il numero è anche forza politica, gli italiani nel mondo hanno iniziato a sollecitare il varo di strutture rappresentative a livello Bel Paese. In seguito le Associazioni, Com.It.Es. e CGIE hanno fatto la loro comparsa; come a sancire un nuovo patto di cooperazione tra italiani ovunque residenti. L’organigramma di queste strutture non è servito, però, a molto. Se non a favorire l’ascesa d’aspiranti politici italiani all’estero. Tant'è che, col varo della Legge 459/2001 ( Diritto di voto dall’estero), il vivaio per i potenziali “Onorevoli” era già pronto. In coda, il voto per corrispondenza che, ad oltre dieci anni dal suo varo, non ha soddisfatto più di tanto e non ha favorito l’incremento di percentuale dei votanti dall’estero. Che, esercitando il loro diritto per posta, non avevano neppure da scomodarsi per recarsi ai seggi elettorali. Insomma, la posizione politica degli italiani all’estero è progredita più per inerzia che per concreto impegno degli interessati. Lo “zoccolo duro” si era fermati alla prima e seconda Generazione di Migranti. La terza e la quarta hanno scelto un’altra via per contare più nel Paese ospite che in Patria. Questo è quanto. I sacrifici, le rinunce, che ci sono stati, sono storie lontane, pur se penose. Gli italiani all’estero, se intendono essere più specificatamente rappresentati, dovrebbero apparire più propositivi e meno fatalisti. Il tempo per recuperare le occasioni perdute c’è ancora. Non resta che trovare, perché ci sono, riferimenti certi per essere italiani sotto qualsiasi bandiera.
Giorgio Brignola