Tempi sempre più difficili, questi, per il mondo del lavoro nel nostro Paese. Entro la primavera, anche lo statuto dei Lavoratori avrà differenti contenuti. Si è tornati a respirare l’aria “pesante” degli scioperi; anche se non c’è ben chiaro contro di chi e per cosa. I “tecnici” sono nella condizione di non esserne influenzati. Il loro programma procede senza sconti per nessuno. Eppure si sciopera. Pur riconoscendo che, almeno, questo resta un diritto inalienabile, pur comprendendo il profondo significato di buona parte dell’impegno sindacale, ci sembra opportuno fare alcune attente valutazioni sull’attuale situazione di tensione che non è più sola tra datori di lavoro e lavoratori. Lo sciopero, per sua natura, non è stato mai una manifestazione fisiologica del mondo del lavoro; anche se è entrato, a pieno titolo, nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. Certo è che nell’Italia della recessione, non tutte le agitazioni sociali, in parte spontanee, hanno una motivazione sindacalmente valida. Molti scioperi hanno origini assai più complesse che rivelano rivendicazioni politiche più che sociali. Questa è la situazione nel Bel Paese alle porte di una primavera già straripante d’imprevisti e possibili prese di posizione in campi opposti. Non si tratta più di un fatto di concertazione. Gli scioperi sono, ora, delle prove di forza che non scompongono, certo, chi ci governa con la fiducia di un Parlamento politicamente esautorato. Le redini della situazione occupazionale italiana non sono più nelle mani di poche persone, né, tanto meno, di capitalisti irresponsabili. Allora, chi ha veramente in mano la situazione socio/economica nazionale? Chi opera, realmente, in favore della classe lavoratrice? A questi interrogativi si può tentare di formulare una risposta sufficientemente attendibile. Senza dimenticare che la crisi economica continua a proliferare. Per cominciare, il sindacalismo italiano continua a vivere una perenne e dannosa contraddizione. Da un lato persegue l’obiettivo di un’impossibile unificazione, dall’altro intende svincolarsi definitivamente dai suoi ancestrali rapporti con i partiti. Su questo secondo fronte, il successo è stato quasi raggiunto, sul primo restiamo sempre in alto mare. Eppure, la logica evoluzione dei tempi richiede una forza sociale più coesa per comuni mete. Tra l’altro, essere uniti significherebbe anche aumentare le potenzialità contrattuali sul mercato del lavoro. Quindi, più strategie per l’occupazione e meno accordi di facciata che non garantiscono un bel nulla. Un atteggiamento più accomodante, tra l’altro, potrebbe anche favorire un meno tribolato sviluppo del Paese sia a livello interno, che internazionale. Sarà difficile, ancora per molto ancora, pronosticare un sindacato “unico”, con “uniche” finalità. Resta che la strada da seguire ci sembra proprio questa. Con la rivisitazione dello Statuto dei Lavoratori, anche le varie matrici sindacali, che continuano ad aumentare, dovrebbero trovare il modo di, almeno, coalizzarsi. Dati i risultati, resta facile comprendere che il “lavoro” potrebbe unire, la “politica” di classe, certamente, No.
Giorgio Brignola