Sabato a Melfi incontro i tre operai che la Fiat di Melfi non vuole far tornare al lavoro

Sabato prossimo alle 16, davanti ai cancelli della Fiat di Melfi, incontrerò Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, i tre lavoratori della Fiat di Melfi licenziati e poi reintegrati dalla Corte di appello di Potenza, che l’azienda si ostina a tenere fuori dallo stabilimento. I tre lavoratori, due delegati della Fiom e uno iscritto allo stesso sindacato, non possono essere lasciati soli. Voglio che sentano la vicinanza anche delle istituzioni.

Barozzino, Lamorte e Pignatelli sono diventati, loro malgrado, il simbolo dell’accanimento della Fiat di Marchionne contro gli operai, sopratutto se iscritti alla Fiom. Io credo che con la pelle dei lavoratori non si debba mai giocare. E, invece, sui tre operai la Fiat sta giocando una battaglia simbolica, fatta di atti di guerriglia. Il clima di terrore instaurato in quella fabbrica è testimoniato da filmati e testimonianze.

Siamo di fronte a un palese tentativo di portare le lancette dell’orologio indietro di 60 anni. I lavoratori, parte debole della catena della produzione, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo hanno dovuto organizzarsi per strappare via via salari decenti e regole certe, le stesse che Marchionne oggi sta facendo venir meno con l’ignavia del nuovo governo, la complicità del vecchio e di buona parte dell’”inteligencia” fintamente illuminata, anche all’interno del centrosinistra.

Insomma, la Fiat è tornata ai tempi di Valletta, con la differenza che, secondo quando riporta Mucchetti nell’intervista di domenica scorsa sul Corriere della sera, Valletta guadagnava 20 volte lo stipendio di un operaio e Marchionne 1.037, tra l’altro con residenza in Svizzera con tutto quel che segue.

Per questo ho voluto fortemente un incontro con i tre operai a cui la Fiat ha vietato il reintegro al lavoro, nonostante la sentenza della Corte di appello di Potenza. Si tratta di una battaglia di civiltà perché il diritto al lavoro, e non solo alla retribuzione, è scolpito nell’articolo uno della nostra Costituzione.

Ma ho anche il dovere, come parlamentare, di difendere i diritti dei metalmeccanici e dei lavoratori in generale, e di una sigla sindacale, la Fiom, discriminata illegittimamente dalla Fiat. Questo, in uno stato di diritto, è il minimo che possa fare un uomo delle istituzioni che non vuole dimettersi da cittadino italiano.

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