Le sentenze non si commentano mai, ma vanno rispettate sempre. Il reintegro al lavoro per i tre operai della Fiat Sata di Melfi, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, però, mi solleva perché sapere che tre lavoratori, per il solo fatto di appartenere a un’organizzazione sindacale invisa all’azienda, fossero stati licenziati, mi appariva come un’ostilità esagerata, una volontà punitiva che servisse da esempio per tenere zitti e buoni gli altri lavoratori.
Perché il dato è questo, ed è difficilmente contestabile. La Fiat, a Melfi e negli altri stabilimenti in Italia, sta provando a calpestare i diritti dei lavoratori. Le intimidazioni, addirittura minacce di morte, e le discriminazioni agli iscritti alla Fiom, testimoniate da servizi sui giornali e in televisione, sono all’ordine del giorno e il clima in fabbrica, a Melfi come a Pomigliano, è tornato quello degli anni 50, senza che ci siano dirigenti illuminati in grado di dialogare con i singoli operai e con i sindacati, anche quelli che oggi sono sulle barricate come la Fiom, esclusa dall’azienda per non aver voluto firmare un contratto peggiorativo di quello nazionale.
Io auspico, a questo punto, che da parte della Fiat ci sia un radicale cambiamento di rotta. Marchionne deve smetterla di credere di essere il padrone delle ferriere e deve dire a tutti, a cominciare dai propri dipendenti, quale sarà il futuro dell’azienda. Anche il governo dovrebbe prendere una posizione chiara, convocare i vertici e chiedere conto di comportamenti intimidatori e di piani aziendali di sviluppo annunciati e mai messi in opera, anche in virtù di quanto la Fiat è costata allo Stato in termini di ammortizzatori sociali nel corso degli ultimi decenni.
C’è, inoltre, un dato politico che non va sottovalutato: i tre operai sono stati reintegrati sulla base dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Senza di esso al massimo avrebbero avuto un indennizzo ma sarebbero stati disoccupati (e marchiati, chi li avrebbe ancora assunti?). E’ questo che bisogna evitare, che il licenziamento possa avvenire per motivi discriminatori. Marchionne ha dichiarato una guerra sotterranea alla Fiom che si è opposta alle deroghe del contratto. L’ad di Fiat, per strappare condizioni peggiori ai lavoratori, li ha minacciati di chiudere tutti gli stabilimenti in Italia ed è addirittura uscito da Confindustria.
L’Italia dei Valori ha preso una posizione netta da tempo. Siamo dalla parte dei sindacati per garantire la dignità sui posti di lavoro e il rispetto degli operai.
Il reintegro dei tre lavoratori ora deve essere immediato e stabile, la presentazione del pur legittimo ricorso in Cassazione, annunciato dalla Fiat, dimostra una volontà di accanimento intollerabile che purtroppo non ci sorprende. Emergono scenari sempre più allarmanti sulle condizioni di lavoro degli operai che continueremo a denunciare con forza. Negli stabilimenti Fiat deve essere ripristinato il pieno rispetto di diritti e rispettate le tutele di legge che rimangono irrinunciabili.