V. van Gogh – Il caffè di notte.
Iniziai la mia attività in un ospedale psichiatrico quand'ero ancora studente, era ancora quel tempo pre Basaglia che ricordo con terrore, ma poi mi indirizzai al gran capitolo della medicina legale.
Lo strano ma eletto mestiere dello psichiatra, e l'amore, non è un'iperbole, per quel mondo e quei malati mi spronava, ma forse meglio è dirli, per quel periodo, detenuti a vita.
Mi sentivo esortato per quella curiosità medica del volere capire cosa avveniva in quei corpi che apparivano organicamente sani e robusti, ma martoriati da una irriducibile invisibile malattia che li rendeva inadatti alle necessità che prima avevano adempiuto; perciò mi arrovellavo per comprendere l’essenza della “cosa” che li devastava, specialmente in rapporto alla “presunta” devianza del comportamento.
Gli uomini erano più “penetrabili” pur essendo “difficili”, ma le donne erano un mistero assai più fitto con le loro comuni gravi melanconie, o catatonie, o ebefrenie o agitazioni psicomotorie in soggetti a volte in preda a deliri produttivi sistemizzati e sistemici successivi, in ogni caso sempre connaturati con l’evolvere della malattia che aveva attinto tutti loro. La “malattia” come un tarlo scavava nella loro ideazione, li devastava e li rinsecchiva come alberi ormai morti cui cadevano foglie e rami, di fatto, rendendoli vuoti contenitori di una sapienza disintegrata.
Così, nel tempo, quelle genti sì trasformavano soltanto in “crisalidi”, vuoti contenitori in umana sembianza. Crisalidi serrate in se stesse per le dissociazioni psichiche avanzate che le conducevano, per esempio, anche a tenere per settimane o mesi posizioni strettamente rannicchiate, fetali, come a serrare le loro aperture naturali da cui sarebbe potuto sfuggire il loro stesso Io. Ma feci anche in tempo a vedere le grandi isterie con ponte circolare , ed addirittura un così definito caso di “licantropia”, che non è quella cosa dei romanzi. Ho conosciuto, dicevo pre legge 180, l'ambiente psichiatrico e ancora oggi affermo: “Era un inferno! Tutto Malebolge e il pozzo di Geenna di dantesca memoria sono semplici zefiri in confronto a ciò che sì vedeva e viveva -nella fossa dei serpenti- presente in ogni ospedale psichiatrico. Il puzzo era enorme, e lì, anonimi anche nudi, urlanti, cantilenanti, o con vocii sommessi e con indosso legacci di contenimento ormai residui strappati, con l’eterna sigaretta in bocca e con più dita di spessore di sporco adeso sì mostravano come un'umanità dolente, ma forse non più tale perché era soltanto una lunga fetida processione del dolore”.
Impossibile descrivere quel posto, o similari d’altri nosocomi. Il “manicomio” era un lager, ci hanno insegnato questa parola come il luogo della massima sofferenza umana, ma in realtà era proprio un manicomio con terapie oscene, e ricerche a doppio cieco con farmaci detti innovativi e sconosciuti agli stessi medici che li dovevano prescrivere e valutare clinicamente in apposite schede.
Qui faccio nel mio dire un salto logico ché il discorso diverrebbe lungo, e sottolineo per il pubblico “ignorante” che bisogna sappia che il malato mentale NON è un insufficiente mentale, ossia il comune soggetto frenastenico od oligofrenico.
Il malato psichiatrico è un infermo. Un infermo che presenta una devianza del comportamento rispetto ad uno standard fatto apparire normale, e ciò solo per convenienza di una maggioranza sociale che con un certo fare s’identifica, e che per ciò, intendo per il numero, sì crede come “giusta”. Del “pazzo”, la gente non ha idea cosa sia se non quando compie delitti che finiscono nelle cronache, e forse nemmeno lo psichiatra ha contezza reale di cosa questo malato è divenuto nella sua essenza! (Ottime letture sull’argomento di cosa sia il pazzo sono le opere del grande Gino Raja, professore emerito anche di filosofia estetica presso la scomparsa facoltà di Magistero di Catania. Questo grande del pensiero fu stroncato dalla provinciale mentalità cittadina degli anni ’60 del trascorso secolo, perché dichiaratamente non cattolico; ma meritori d’essere resi noti e compresi sono tra gli altri i suoi scritti: “La Fame” e “L’Arte di Uccidere”! L’opera di Gino Raja non è però caduta nel vuoto perché ancora l’acese colto professore Pasquale Licciardello, ed il compianto amico Carmelo Viola ne hanno promosso le idee purtroppo ancora poco recepite).
In ogni caso, il malato psichiatrico sempre perde anche la comprensione d’essere tale, e diviene soltanto un “conte o contessa dei sobborghi” in cui decadono, pur apparentemente vestito a festa, vedi le opere di Vincent Van Gogh, le funzioni psichiche cerebrali per il dissociarsi dalle facoltà di critica e giudizio, ed incompletezza delle capacità noetiche e percettive.
Ed io, organicista convinto, ancora ritengo che l’alterazione iniziale sia in regione pre talamica-talamica, quindi si dovrebbe affermare che la disfunzione del pensiero ha inizio dalle funzioni istintuali mecencefaliche che, nella “normalità” poi sublimate in centri noetici superiori, divengono idee non più istintuali, ma elaborate, normali o deviate, per possibili differenziazioni di macromolecole, neurormoni o mediatori chimici; ché anche il pensiero è organico verosimilmente formato da nubecole d’atomi della stessa specie (azoto?) che sì caricano elettricamente in un tempo di un millisecondo, restano in tale stato per quasi due millisecondi e decadono con la stessa velocità con cui sì sono caricate. Tutto ciò dopo avere creato un impulso che il cervello elabora in diversi suoi centri, per infine originare astrazioni linguistiche che esprimono le parole opportune. Dunque, se verosimile la mia teoria, l’inarrivabile “coscienza” è solo una nubecola d’atomi non intercettabile come fenomeno biologico, ma solo come episodio elettro chimico. Alla critica che qui gli analisti solleveranno, “hai spostato il concetto di coscienza un po’ più in là…”, rispondo con l’immagine dell’Uroborus, il serpente che si morde la coda, intendendo che qualsiasi avvenimento nella sua essenza è autoreferenziale.
La malattia, nel cronicizzarsi, perché di patologia organica sì tratta, mostra il seme che indica come in toto la psicoterapia di Freud ed altri, e la più modesta socio-biologia falliscono; infatti, nel malato che perde la sua capacità di critica e giudizio, come implicitamente è stato comunicato, in molti affermiamo che ciò avviene per cicli metabolici che sì sono differenziati anche per possibili spine irritative sociali “molto forti” agenti nell'ambiente usuale del malato. Spine irritative che, però, possono agire solo su un terreno diatesicamente fertile. Sia tuttavia ben chiaro che l’espressione “molto forte” del sociale è solo collaborante con la deviazione metabolica cerebrale che sì raccorda con la forza della personalità del malato, così sì giustifica perché in più soggetti che vivono lo stesso trauma psichico in uno sì crea “angoscia esistenziale”, ed in altri no.
Fu per considerazioni assolutamente non mediche, e che hanno matrici massimamente politiche che ab initio presero il via con C. Lombroso continuando con il Dr. Freud e Thomas Mann… che furono avvelenati i governi occidentali giungendo alla teoria del “triplo insulto” secondo cui il malato mentale subirebbe nella sua personalità, con gravi colpe della società, forti costrizioni che lo renderebbero tale, dunque, inadatto a vivere in un consorzio umano che però ha l’obbligo di curarlo.
Perciò, data per scontata senza dimostrazione la tesi dell’Antipsichiatria, o del cromosoma soprannumerario, nel tentativo di sommergere culture diverse, le intellighenzie di Sinistra vollero rompere con l’ospedale psichiatrico che tra l’altro concedeva alla non sempre difficile corruttibilità dello psichiatra un potere enorme di vita e di morte civile semplicemente derivata da un certificato medico, anche non specialistico, dichiarante la “pericolosità per sé e per gli altri” del presunto malato. Così, per il sogno egemonico del tutti uguali, meno i leader, sorse in Italia la legge Basaglia, quella che condusse alla chiusura dei manicomi /lager, ma senza alternative per quegli ormai “ex detenuti”!
Tutto questo avvenne perché nel nostro Paese, quando legalmente si procede attraverso il Parlamento, che tutto è meno che un luogo ove regna la cultura, ogni cosa è fatta male, approssimativa, o non è fatta. In ogni modo, chiuso il manicomio fu negata l’esistenza dei malati psichiatrici, ma non quella dell’esistenza della malattia psichiatrica, così, i “ disgraziati” che furono affidati improvvisamente a famiglie che non li volevano, che non sapevano che farsene, sempre finirono nelle strade abbandonati da tutti. In Inghilterra, al contrario, il paese in cui nacque negli anni ’50 del XX secolo l’Antipsichiatria, la sua sperimentazione dopo aver costruito centri più accoglienti fu sospesa per non avere raggiunto i bersagli previsti. Da noi sì continua con leggi assurde, per esempio: “Il malato mentale che tale è per l’incapacità di critica e giudizio deve firmare una cartella clinica, all’atto del ricovero, in cui dichiara di essere nella condizione di dover essere curato”. Ciò, addirittura, per evitare allo psichiatra la possibilità d’essere denunciato per sequestro di persona!
Ma il malfare sanitario affidato alla casta/intellighenzia non sì fermò, perché negata l’esistenza del malato psichiatrico ancora oggi non sì è fatto nulla in suo favore.
I manicomi criminali sono ancora peggiori del manicomio pre 180, e Vi assicuro che se la Vostra immaginazione potesse in qualche maniera identificarli fuggireste dall’orrore della scoperta.
Ora, per concludere, asserisco che case manicomiali devono esistere per la cura dei malati, ma devono essere “case” confortate da genti realmente specializzate e capaci, in più con uso di terapie che non pratichino, come avveniva, lobotomie prefrontali (ricordate “Qualcuno volò sul nido del cuculo”), elettroshock, malaroterapia, terapia detta del sonno, sperimentazione di farmaci…
La dignità dell’uomo ammalato, o no, deve essere conservata e tutelata, e bisogna rendersi conto di un concetto importantissimo, come recita la criminologia italiana: “E' il carcere, [o manicomio criminale], con la privazione della libertà il vero premio alla colpa, oppure le angherie che dentro il carcere/manicomio criminale quella gente deve patire è il premio del loro reato”?
Io sono per la dignità dell'uomo scevra da ogni impegno e considerazione fideistico/religiosa, quindi il premio della colpa sì ferma alla mancanza di libertà ed alla vera obbligatoria rieducazione, ove possibile alla luce delle scienze, delle tecniche e tecnologie del momento!
Se poi quelle genti sì vogliono considerare pesi inutili per la società, sì deve avere il coraggio di toglierci dall’ipocrisia dilagante che ci sommerge ed affermare: “Li uccidiamo”, ma trattarle come nemmeno sì trattano bestie è inconcepibile!
kiriosomega sdegnatos e incazzatos