Dietro il “nein” pronunciato dalla signora Merkel si nasconde il segno inequivocabile di una volontà di egemonia tedesca nell’area dell’euro e di un espansionismo finanziario che si avvale di armi più potenti, devastanti e penetranti dei panzer, quali lo “spread”.
Si conferma in tal modo l’ipotesi secondo cui sta prevalendo chiaramente un orientamento verso una crescente e progressiva “germanizzazione” dell’euro-zona, una tendenza funzionale esclusivamente agli interessi del capitale finanziario internazionale.
Ciò che in tempi passati non riuscì al cancelliere imperiale prussiano, Otto von Bismarck, né al Führer del Terzo Reich, Adolf Hitler, sta riuscendo oggi alla signora Angela Merkel.
Il progetto egemonico tedesco era palese fin dall’inizio, ma si sta concretizzando seriamente e prepotentemente soltanto oggi. Basti pensare alle insopportabili condizioni-capestro imposte dalla Germania ai Paesi dell’euro-zona che versano in evidenti difficoltà finanziarie. Ma è un dato di fatto assolutamente innegabile che nessun Paese europeo, neppure la Francia, possa permettersi di pagare un prezzo simile.
Tuttavia, mentre le mire espansionistiche del regime hitleriano si limitavano a voler imporre un predominio militare tedesco in Europa, il capitale finanziario cosmopolita, che si ripara dentro il bunker tedesco, conquista e divora le ricchezze del mondo intero.
Recentemente, i titoli di Stato decennali tedeschi, messi all’asta, hanno dato un interesse negativo. Ciò vuol dire che gli investitori finanziano lo Stato tedesco affinché questo gli conservi i loro soldi. Non è mai successo nella storia dell’economia finanziaria: non solo ci rimettono l’inflazione, non solo perdono la mobilità dei propri capitali, ma addirittura pagano affinché i propri soldi siano assicurati dentro il bunker tedesco.
La signora Merkel sta riuscendo ad addomesticare la Francia per farne un potente vassallo della propria economia. Per il resto il povero Monti continua a chiedere che “la Germania faccia la sua parte” per l’Europa, senza capire, o (meglio) non potendo affermare, che è esattamente questa la parte della Germania, ossia solo per sé stessa.
Alludendo alla Germania, Monti ha anche affermato: “Nessun Paese europeo è talmente forte da pensare di andare avanti da solo ad affrontare l’economia globale”. Ebbene, simili dichiarazioni sono tutto quello che Monti e gli altri possono tentare di fare, cioè scombinare le carte prima che Berlino concluda il gioco. Non hanno altro a cui ricorrere.
Ora, se la Germania non può rinunciare in toto all’Europa ed isolarsi, neppure l’Europa può rinunciare alla Germania e perire. Ma Berlino non è disposta a svenarsi per sorreggere i Paesi in bilico che compromettono l’equilibrio dell’euro; vuole mollarli e restringere l’area dell’euro solo ai Paesi che reggono sul piano del debito. Quelli che vogliono rimanervi possono farlo solo all’interno della politica restrittiva fissata da Berlino e cedere parti pregiate dei loro apparati produttivi al controllo tedesco. E’ la condizione (capestro) indispensabile affinché Berlino possa giocare un ruolo stabile all’interno del mercato globale e reggere lo scontro con le superpotenze economiche.
Il potenziale di accumulo di capitali detenuto dalla Germania è impressionante; ce n’è abbastanza per mettere mano alla progressiva infiltrazione massiva all’interno delle economie di alcuni Paesi e controllare settori che le sono strategicamente convenienti.
Le leggi italiane non consentono ancora di superare certi limiti e, soprattutto, limitano la partecipazione straniera al capitale delle banche al di sotto di una soglia oltre la quale si ritiene compromesso l’interesse nazionale; ciò vale anche per le grandi industrie, le reti ferroviarie, i porti, ecc. Ma gran parte delle piccole e medie industrie del Nord lavorano già da decenni su commissioni tedesche. Inoltre, se i vincoli di protezione della ricchezza nazionale dovessero essere aboliti, o aggirati, sarebbe davvero uno scherzo per la Germania investire i ponderosi depositi di danaro che ha accumulato nelle sue banche per acquisire la ricchezza degli altri Paesi, a cominciare dal controllo delle banche di Stato. Già oggi, ad esempio, nella sola Campania, esistono 18 sportelli della Deutsche Bank localizzati nelle aree turistiche. L’imponente circuito turistico della costiera amalfinata, Capri, e così via, è da tempo sotto controllo tedesco.
In Portogallo è avvenuto qualcosa di simile ma su più larga scala. Il governo portoghese ha “liberalizzato” il Banco do Espirito Santo, la banca privata più importante del Portogallo. Il governo ha ritirato la propria partecipazione e sono subentrate, con una quota del 28%, investitori stranieri, per l’esattezza tedeschi, con dietro la Bundesbank.
Questi investitori hanno imposto subito un “rafforzamento”, cioè una ricapitalizzazione, del Banco per “permettergli di contribuire alla crescita del Paese”, in conseguenza del quale essi sono arrivati al 47%. Inoltre, comprano sottobanco quote dei soci più deboli o più disponibili. Il governo portoghese ha dato il suo placet, in deroga alla legge vigente, “per il bene del Paese”. Naturalmente sono in atto interventi di ristrutturazione e licenziamenti. Nell’immaginario collettivo dei Portoghesi il Banco rappresenta la ricchezza nazionale e si può dire che tutte le altre banche portoghesi dipendono direttamente da esso. Formalmente i tedeschi sono soci di minoranza, “aiutano il Portogallo”, non hanno leso alcun principio nazionale, ma di fatto sono i veri padroni.
Costretti dalle condizioni-capestro imposte dalla Germania, i Paesi europei non avrebbero altra scelta che consegnare le loro economie in mani tedesche e diventare tributari della Germania, come lo sono già oggi, in larga parte, il Portogallo e la Grecia, i cui governi e le cui banche centrali non possono investire senza il nulla osta della Bundesbank, che è il loro principale creditore. Hitler pensava che l’occupazione militare dell’Europa gli avrebbe permesso di divorare le loro ricchezze. Ma oggi, il capitale finanziario ha trovato armi molto più potenti e penetranti dei panzer della Wehrmacht.
Lucio Garofalo