di CARLO PRIOLO
Il diritto a difendere i propri diritti ed interessi legittimi è un diritto inviolabile, al pari del diritto di libertà. Tutti possono agire per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi, a prescindere dalla propria condizione. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, “limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, comma 2, Cost.). Da oggi non tutti hanno la stessa capacità di difendersi, viene leso il principio di uguaglianza, cade il valore e l’efficacia della legge uguale per tutti. Legge di stabilità 2012 ha così stabilito: all’art. 283 c.p.c. è stato aggiunto il secondo comma che recita “Se l’istanza prevista dal comma che precede [sulla sospensione della sentenza di primo grado] è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10. 000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio”. Stessa sorte è stata prevista sull’esecutorietà delle sentenze in materia di lavoro, aggiungendo un comma all’art. 431 c.p.c.
Legge di stabilità 2012, che ha modificato sensibilmente anche altre norme del codice di procedura, il cui art. 27 è (significativamente) rubricato “Modifiche al codice di procedura civile per l’accelerazione del contenzioso civile pendente in grado di appello”. Sulla stessa linea, è stato ritoccato il Codice del Processo Amministrativo – D. Lgs. n. 195 del 15.11.2011 con decorrenza dall' 8. 12.2011 – dove la previsione, già gravosa, sulle spese di giudizio, di cui all’art. 26, co. 2, è stata corretta ampliandone lo spettro: “Il giudice condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio.
Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si applica l'articolo 15 delle norme di attuazione”. Si accelerano i processi ponendo degli ostacoli a chi ritiene di esercitare un legittimo diritto; con la previsione di una sanzione pecuniaria si torna al Medioevo, quando l’accesso alla Giustizia era monopolio di pochi ricchi e nobili. L’esigenza prevalente di ridurre il carico delle cause viene ottenuta tagliando il diritto alla Giustizia con le sanzioni pecuniarie, che saranno comminate dal Magistrato. Ogni norma che tentasse di eludere (o, addirittura, eliminare) la possibilità di agire in giudizio, essendo l’esercizio dei propri diritti inserito nel quadro dei diritti inviolabili della persona, è ingiusta e il diritto ad avvalersi della giurisdizione non può essere sacrificato in vista di altre esigenze, come quella deflattiva del numero delle cause, della speditezza del processo, delle esigenze di bilancio. Quando le procedure ostacolano l’agire per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi, determinando la sopravvivenza di situazioni lesive o la inefficacia della tutela giurisdizionale si entra nell’area pericolosa dell’illegittimo impedimento, immotivato e unilaterale, che vulnera l’uguaglianza di fronte alla legge. Un impianto normativo che non amplia il diritto in favore della persona, ma delle esigenze di riduzione del danno dai numeri dei processi (10 milioni di processi pendenti). Un orientamento punitivo nei confronti di coloro che vogliono legittimamente esercitare un loro diritto calpestato e che intendono farlo confermare dal Giudice.Dopo aver aumentato le spese per avviare una causa, impedendo ai meno abbienti di avere Giustizia, con le ulteriori nuove norme si impedisce l’accesso alla Amministrazione della Giustizia, già in gran parte incapace di rendere Giustizia.