“IMAGINATION IS POWER” ALFIO LISI OPERE DAL 2010 AL 2011. L’ARTE FUORI DAI LUOGHI COMUNI PER COGLIERE LO SGUARDO DEGLI ALTRI

“Se l’arte è immaginazione e se l’immaginazione è mutazione della realtà imposta essa può trasformarsi nel ‘potere’ di cambiare il mondo.” Alfio Lisi
“Se Maometto non va alla montagna sarà la montagna ad andare da Maometto”. E’ da ciò che l’arte deve apprendere uscendo dai luoghi comuni e dai “ghetti” istituzionalizzati per andare incontro alla vita di tutti i giorni verso lo sguardo degli altri. Se poi a tale necessaria opzione aggiungiamo che quasi involontariamente nascerà un incontro tra due arti visive, quella su tela e quella su pellicola, allora potremo affermare senza alcuna reticenza che una sorta di miracolo si è avverato. Così come nell’arte concettuale ( come potrebbero essere visti sotto certi aspetti le opere di Alfio Lisi) idea o concetto sono più importanti delle opere stesse, altrettanto far conoscere un’opera potrebbe diventare più importante della sua stessa realizzazione. Quando il fine estetico di un’opera viene superato dall’idea stessa del suo autore prima che essa trovi spazio in una tela o in qualsiasi altro supporto o tecnica allora possiamo affermare che ci troviamo nel terzo millennio dell’arte in sè.
“Ognuno di noi prima di essere qualcosa di consapevole è anche tante altre cose, così ogni artista che si definisce tale è anche un uomo o una donna e dunque vive in un contesto sociale più o meno ampio e variegato.” Forse queste affermazioni dell’artista possono raccontarci il significato etico/estetico delle opere “collage” POP HARD di Lisi, così come essenzialmente delle sue opere precedenti che lasciano un indelebile messaggio tra la vitalità e l’indignazione.
Differentemente dall’eredità pop oltreoceano del secolo scorso, Lisi tenta, con la sua “Pop Hard”, di affrontare un linguaggio che considera “più hard che soft, o piuttosto più utopistico che effimero, guardando prevalentemente ai prodotti più nobili della “creatività isolata” che ai prodotti imposti di consumo di massa sempre più globalizzati e dunque sempre più evanescenti e impersonali: aspetti che evidentemente si possono considerare tra loro agli antipodi ma che giornalmente rischiamo di non distinguere grazie ad un continuo ed esasperante condizionamento della libertà di scelta atrofizzata da una pubblicità devastante”.
Come ogni artista che si rispetti e che non lascia adito a limitazioni mentali o condizionamenti culturali in Lisi è l’essere artisticamente eclettico che lo contradistingue dalla fin troppa confusione che imperversa in un orizzonte piatto avulso da ogni espressione significativamente creativa.
Da qui il passo di riportare le sue ultime opere (che guarda caso hanno un legame quasi fisico con il cinematografo) a Catania, al cinema Ariston, luogo che negli ultimi decenni è stato il riferimento dei cinefili catanesi, è stato più che breve: “Il mio primo amore, parlando d’arte, è stato il cinema. Ho dei ricordi meravigliosi delle serate al cinema che mi ha legato ad esso quasi in modo viscerale. Da bambino, quando ancora le televisioni private non avevano preso il sopravvento sostituendosi al cinema e vincolando mortalmente a casa intere famiglie, non vi era domenica che con la mia famiglia non andassi ad uno dei quattro cinema (con le loro arene), da tempo scomparsi, che esistevano nel quartiere di Catania dove sono nato. Da allora non ho più smesso di frequentarli, o forse sono loro che frequentano me.”
I tuoi collage hanno qualche assonanza con i décollagisti del Nouveau Réalisme quali Raymond Hains, di Dufrene di Villeglé , Mimmo Rotella?
“Al contrario di tali artisti io non lacero i manifesti strappando lembi per ricreare artificialmente quello che accade nei muri o nelle tabelle pubblicitarie, o riporto sulla mia tela tali scempi che deturpando il manifesto lo trasformano in oggetto impuro; per me l’arte è il contrario di impurità, la mia contaminazione è culturale non materiale, le mie opere nascono nude come un bambino e tali, spero, dovranno restare in un’ eterna giovinezza come quella verità che rappresentano e che spero in molti riescano a sentire vicina oltre che sprofondare in essa senza il sostegno di un aprioristico paracadute. Chi guarda un opera deve diventare esso stesso, in modo involontario e sublime, parte indelebile di essa perdendo nello stesso tempo ogni riferimento con la realtà circostante. Dunque io non cerco di sottolineare nelle mie opere il tempo trascorso ma cerco di farlo rivivere in una sorta di ‘puzzle-interattivo’ anche perché i miei collage transitano in un tempo senza tempo così come dovrebbe essere ogni opera d’arte, al contrario dell’arte per l’arte. Se i decollagisti toglievano io al contrario aggiungo del mio, comprendo parti, raccolgo la storia di ieri e di oggi”
Ecco l’artista che si definisce “Esploratore senza patria” senza per ciò dimenticare le sue origini ancestrali, riuscendo nello stesso tempo ad andare oltre la sua “isola” (“ ogni nazione è una piccola isola in un oceano di isole”) per cercare mondi da scoprire. Mondi che gli artisti esploratori riescono a scoprire scavando dentro se stessi, tra le proprie riflessioni e le proprie idee, tra l’esperienza e la memoria, tra il passato e il presente, senza sosta e senza meta: “Ripetersi, come fanno spesso molti artisti commerciali, è come aver deciso di non respirare è come fermarsi al primo ostacolo, alla prima delusione bloccando la fluidità dell’esistere e del divenire; l’arte è tutto il contrario di ciò” Non dovrebbe essere altrimenti. Gli artisti non possono trasformarsi in plagiatori di se stessi, sarebbe come esprimersi uccidendo altri esseri viventi per poi imbalsamarli e spacciarli quali opere milionarie. Hirst docet!

« Nell'arte concettuale l'idea o concetto è l'aspetto più importante dell'opera. Quando un'artista usa una forma concettuale d'a happening rte, vuol dire che tutta la pianificazione e le decisioni sono prese prima e l'esecuzione non è altro che un affare superficiale. L'idea diventa una macchina che crea l'arte. » (Sol LeWitt)

Si definisce arte concettuale qualunque espressione artistica in cui i concetti e le idee espresse siano più importanti del risultato estetico e percettivo dell'opera stessa.

Kant nella Critica del giudizio analizza il bello dandone quattro definizioni, che delineano altrettante caratteristiche:
• il disinteresse: secondo la qualità un oggetto è bello solo se è tale disinteressatamente quindi non per il suo possesso o per interessi di ordine morale, utilitaristico ma solo per la sua rappresentazione;
• l'universalità: secondo la quantità il bello è ciò che piace universalmente, condiviso da tutti, senza che sia sottomesso a qualche concetto o ragionamento, ma vissuto spontaneamente come bello;
• la finalità senza scopo: secondo la relazione un oggetto è bello non perché fosse il suo scopo esserlo ma è come se vedere un oggetto bello sia vedere la sua compiutezza anche se in realtà non vi è alcun fine;
• la necessità: secondo la modalità è bello qualcosa su cui tutti devono essere d'accordo necessariamente ma non perché può essere spiegato intellettualmente; anzi, Kant pensa che il bello sia qualcosa che si percepisce intuitivamente: non ci sono quindi “principi razionali” del gusto, tanto che l'educazione alla bellezza non può essere espressa in un manuale, ma solo attraverso la contemplazione stessa di ciò che è bello.

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