L’arte di saper uscire per tempo in politica: quella che Berlusconi non conosce

di Giampiero Mughini

Se fra venti o quarant'anni qualcuno scriverà di che cos'era e come appariva la politica itallana del 2011, non so che cosa ne scriverà. Di certo nella nostra storia recente non era mai successo nulla di simile, che un capo di governo insistesse e si ostinasse a tenere botta, attaccato non dirò a un solo voto parlamentare ma a un solo sputo. Dico di Silvio Berlusconi, di cui non so che cosa tenterà in queste ore per mantenere in vita un governo e una maggioranza che non sono più “all'ultimo respiro”, ma molto peggio che così. Non so se lo storico di cui ho detto farà un raffronto fra il nostro miserevole presente e quel che accadde a compimento della ventennale storia del fascismo e della leadership mussoliniana.

Alla sera del 25 luglio 1943, a Palazzo Venezia. Dove il fior fiore dei fascisti che avevano creato il fascismo, da Dino Grandi a Giuseppe Bottai, votarono contro Mussolini. E all'indomani il Re lo destituì, a norma di legge italiana del tempo. L'Italia piccola piccola del 2011 non regge il paragone neppure con il tempo agonico del fascismo. Nel partito che sino all'altro giorno era di maggioranza relativa, il Pdl, non si trova un gruppo di valorosi che dicano al loro capo “E' finita!” e gli votino contro. Temo invece che assisteremo in Parlamento a miserevoli compravendite di voti in cambio di particelle di potere. L'Italia non meriterebbe questo, o forse sì. Non lo meriterebbe neppure Berlusconi, comunque un protagonista di anni tormentati e difficili.

L'arte di saper uscire per tempo è un'arte essenziale in politica. Charles de Gaulle la esercitò un paio di volte nella sua carriera, il giorno primo era il dominatore assoluto, il giorno dopo sbatteva la porta e se ne andava. Alcide De Gasperi se ne andò quando capì che la sua storia di leader della Democrazia cristiana degli anni della Ricostruzione era finita. Uno dei politici europei più abili degli anni Trenta, il francese Pierre Laval, si dimise da capo del governo nel gennaio 1935, quando vide che l'opinione pubblica e la gran parte del Parlamento gli erano terribilmente ostili. Helmut. Kohl, l'uomo politico tedesco che è riuscito nell'impresa titanica di riportare all'unità quella Germania che era stata spaccata in due dalla Seconda guerra mondiale. s'èì poi congedato e ritirato dalla vita politica quando s'è trovato in difficoltà. Il laburista inglese Tony Blair ha messo uno stop a una carriera che era sembrata invincibile dopo che la sua scommessa di affiancare Bush junior al cento per cento in Irak non era riuscits. Solo nei Paesi comunisti il leader va via quando muore, Breznev o Mao oppure Stalin, il più grande criminale politico del Novecento.

Se tanto mi dà tanto, in settimana il governo Berlusconi cadrà. Solo che a quel punto non è che le cose miglioreranno di molto e a meno che nella politica italiana non ricominci a spirare il vento della ragionevolezza. Il giorno in cui cadrà il governo Berlusconi, sarà finito il berlusconismo vincente. Ma sarà finito anche l'antiberlusconismo totale e sistematico pronunciato 24 ore al giorno. E che succederà a quel punto, che diranno i nuovi vincitori, da Antonio Di Pietro ai leader sindacali a quelli che insultano Matteo Renzi perché è “un comunista di destra”, e mentre l'Europa ci dice e ci ripete che dopo la Grecia siamo il Paese europeo più vicino al disastro? Che Dio ce la mandi buona.
Redazione di Tiscali 07 novembre 2011

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