Preso atto che la crisi che stiamo vivendo non è solo telematica e mediatica, è tornata, prepotente, la percezione del valore del denaro. Dall’avvento dell’Euro, non era mai capitato. Oggi s’osservano i prezzi e le spese, soprattutto quelle non indispensabili, sono ridimensionate. La crisi, com’era prevedibile, ha toccato le nostre tasche; ha ridotto il potere d’acquisto dei nostri stipendi, pensioni e sudati risparmi. Dal 2002 ( data del varo della moneta europea unica), i prezzi dei generi di largo consumo sono aumentati del 21%. Per lo stesso periodo, i redditi pro-capite sono accresciuti solo del 13%. A conti fatti, in poco meno di dieci anni, il potere d’acquisto intrinseco si è ridotto dell’8%. Ma l’aritmetica non basta per capire quanto è capitato. Secondo l’ISTAT, per il periodo preso in considerazione, l’inflazione è stata intorno al 2,3% su base annua. Vale a scrivere che, nella globalità, i prezzi dei beni e dei servizi più comuni sono aumentati del 23%. Più l’8% correlato alla riduzione del potere d’acquisto dell’Euro. I rincari non hanno risparmiato alcun settore merceologico, né energetico. Proprio sull’energia (luce, gas, benzina, metano e derivati) il rincaro è stato del 34% e la tendenza è a crescere. La liberalizzazione non è servita a frenare il vortice degli aumenti e riteniamo che così sarà anche per il futuro. Quello che, da subito, traspare è che i rincari non hanno seguito una successione economicamente logica. Gli aumenti hanno avuto la meglio per una sorta di speculazione internazionale della quale ci siamo accorti in ritardo e che abbiamo, dati i risultati, sottovalutato. L’ andamento dei prezzi non segue il raziocinio del mercato generico, ma si focalizza sui consumi e sulle necessità degli utenti; in altre parole è l’anello finale di una catena che ci appare sempre più lunga e pesante. Il meccanismo dei rincari, che non sono giustificati dall’aumento all’origine delle materie prime, s’è inceppato proprio al momento del passaggio d Lira ad Euro. Il rapporto di cambio è stato interpretato in modo psicologicamente improprio. Come a scrivere che ci si è “confusi”, ed ancora accade, col rapporto, più spicciolo ma sbagliato, di Lire 1.000= 1 Euro. Solo in tempi più recenti, ci siamo resi conto dell’invalidità della conversione. Con lo sviluppo della crisi, che da noi sta per tagliare il traguardo del quarto anno, tanti nodi economici sono venuti al pettine. Ora le previsioni sono anche peggiore dato che il recente aumento dell’IVA ( tranne che per i generi alimentari) non farà che far salire il divario tra quanto si dispone e quanto si può spendere. Tra poche settimane, in pratica nel 2012, prevediamo una sostanziosa rivisitazione dei listini prezzi che non risparmierà neppure i generi alimentari. Anche tenuto conto che gli stessi sono commercializzati dopo trasporto su gomma o su rotaie. Con l’aumento dei prezzi di trasporto, gli effetti finali della filiera andranno, indiscutibilmente, a ricadere sul consumatore. Non ci sono cure miracolose per tamponare l’andazzo. Non resta che consumare di meno e con più oculatezza. Anche nella crisi, che non avrà vita breve, ci sarà ancora chi non ci rimette, ma aumenteranno in maniera potenziale gli italiani che non riusciranno più a far quadrare i conti di vita. Con la lira, per carità, non ci sarebbe andata meglio; però avremmo potuto fare i conti in anticipo, evitando le speculazioni che, invece, non si sono fatte attendere. Tagliando le spese superflue, o che soggettivamente riteniamo tali, si potranno riequilibrare i bilanci familiari; anche se con un tenore di vita più contenuto che per il recente passato. Fermo restando che il concetto di mal comune non è, per nulla, mezzo gaudio, ci apprestiamo a salutare il 2012 con un Euro in crisi d’identità e le tasche sempre più vuote.
Giorgio Brignola