DITO MEDIO E PERNACCHIE, E’ QUESTA LA STRADA ALLA SECESSIONE?

Abbiamo chiesto al Capo dello Stato di dire una parola definitiva sulle minacce secessioniste della Lega. Sono sicuro che il Presidente della Repubblica non ha bisogno di alcuna sollecitazione e agisce e parla in piena autonomia, ma quell’intervento ha forse in qualche maniera contribuito a smuovere le acque. Sono certo che Napolitano abbia colto, in quell’appello, il segno che una parte sana del Paese, rappresentata dal nostro partito, era stufa: la Lega stava davvero esagerando.
L’intervento del Presidente della Repubblica è stato duro e diretto. Non solo ha ribadito che l’Italia è una e indivisibile, ma ha messo in risalto le contraddizioni e le false suggestioni di termini come Padania e secessione. La prima non esiste, al massimo si può parlare di Lombardo-Veneto, la seconda non può essere ottenuta pacificamente e, solo richiamarla, è contro la legge. Nella confusione di questi anni berlusconiani molti hanno perso il senso delle cose che affermano e questo, detto a margine, è uno dei motivi per cui a mio parere assistiamo a una crisi così profonda della politica.
Abbiamo provato a spostare il tiro della Lega dalla secessione al federalismo, ma anche questo tentativo è miseramente fallito. Oggi possiamo dirlo a ragion veduta: alla Lega del federalismo non interessa niente perché, nel frattempo, si è abituata alle comodità delle poltrone romane che tutti i suoi principali esponenti ormai occupano in pianta stabile da ormai un decennio, se si esclude il breve interregno prodiano.
L’Italia dei Valori ha contribuito alla scrittura di un disegno federale che andasse nella direzione di una maggiore responsabilizzazione e autonomia delle regioni, dei comuni e delle città metropolitane,oltre che delle province fino a quando ci saranno. Alla realizzazione della legge istitutiva abbiamo partecipato con interesse ed entusiasmo, tanto da votarla (alla faccia di chi pensa che l’Idv sia il partito dei no a prescindere). I guai sono cominciati dopo, quando si sono dovuiti scrivere i decreti attuativi del federalismo. Lì è venuta fuori l’anima reazionaria ed egoista della Lega, perché quei decreti o sono scatole vuote o sono veri e propri salassi per regioni e comuni del meridione che non riusciranno a sostenere il peso contemporaneo dei tagli da parte del governo centrale e dell’autonomia prevista dal federalismo in salsa leghista. Ma il pasticcio è completo perché anche le regioni e i comuni del nord hanno protestato: quel federalismo, alla lunga, li costringerà ad aumentare i tributi locali, a pagare saranno i cittadini. Insomma, un pasticcio da cui ci siamo dissociati. Bossi sa che il suo federalismo aumenterà le tasse e che l’alleanza con Berlusconi sta erodendo una parte significativa del suo elettorato, per questo ha ripiegato sulle vecchie parole d’ordine del secessionismo, sul dito medio e sulle pernacchie del suo leader che nascondono il vuoto di idee.
Fino a qualche giorno fa della mancanza progettuale del Carroccio ero abbastanza convinto ma, mi dicevo: in cambio di voti sulle cose più incredibili, voti per salvare ministri e sottosegretari in odore di mafia, leggi ad personam le più indecenti, ottengono bandierine senza senso da piantare per la propria base (finto federalismo, ronde padane, respingimenti di immigrati e altre amenità del genere). Poi ho capito che, invece, tutto questo serve per mascherare una mancanza di idee e di strategie che, nell’ultima fase, si è mescolata all’incapacità di gestire la crisi che, come è noto, ha colpito anche il nord produttivo. L’ho capito quando Bossi ha voluto dire la sua sul prossimo governatore della Banca d’Italia. Per governare la più importante istituzione economica italiana ha proposto Vittorio Grilli, non perché propone ricette condivise, ma perché è milanese, cioè del nord, contro il romano Saccomanni.
Forse è stato questo a indurre il Presidente della Repubblica intervenire perché, se alla politica e all’economia sostituiamo la geografia e il campanile, l’Italia finisce a fondo più in fretta.

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