La legge elettorale italiana è una tra le più contorte e molto laboriose da applicare. Ancor prima del diritto di voto esteso, con responsabile ritardo, ai Connazionali residenti all’estero, da noi vige il sistema “Maggioritario/Proporzionale”. Insomma, un sistema ibrido che implica difficili calcoli con cervellotici riporti. Del resto, il primo distinguo s’evidenzia per l’elezione dei Deputati; 3/4 sono eletti col sistema maggioritario ed 1/4 con quello proporzionale. Per il Senato, la realtà se non è identica, poco ci manca. I Senatori sono eletti col sistema maggioritario; ma 1/4 è”ripescato” tra i migliori non eletti. Un sistema più ibrido di così proprio non siamo in grado d’immaginarlo. Poi, dopo un lungo travaglio politico, anche i Connazionali residenti oltre frontiera hanno ottenuto, ultimi tra i cittadini del mondo democratico, il diritto di voto, per corrispondenza, con un meccanismo che è figlio legittimo dell’obbrobio nazionale. Per l’estero vige la formula”18”. I milioni d’Italiani nel mondo sono chiamati all’elezione di 6 Senatori e 12 Deputati. Il tutto in una Circoscrizione Estero che è stata strategicamente suddivisa in quattro Ripartizioni. Ogni Ripartizione ha diritto ad avere un Deputato ed un Senatore. Per perfezionare la quota “18”, i restanti due Senatori ed otto Deputati sono eletti estrapolandoli tra i quozienti interni con più alti resti ( maggioritario impuro?). Ma non è tutto. Per girare intorno ad un problema che ci sta molto a cuore, che è quello della rappresentatività universale, l’art. 8 comma 4 della Legge 459/2001, prevede che i cittadini residenti all’estero possano candidarsi nelle Circoscrizioni nazionali solo se optano per votare in Patria. Il tutto tramite un meccanismo farraginoso e, comunque, non privo di difficoltà burocratiche applicative. Questo è quanto al tramonto di questo 2011. Le proposte di modifica giacciono, inevase, nelle varie Commissioni parlamentari preposte. Come a scrivere che il concetto futuribile correlato al voto dei Connazionali all’estero sembra lontano da una razionale rivisitazione. Ora, senza entrare nei meandri di quella burocrazia che è figlia della nostra giovane democrazia, la posizione che ipotizziamo è chiara. Il diritto di voto politico dovrebbe essere correlato unicamente alla cittadinanza e non alla residenza. La Circoscrizione Estero rappresenta solo un espediente per non consentire il voto degli aventi diritto nei Collegi originali d’appartenenza in Patria. O consentirlo con trasferte onerose. Meccanismo che si potrebbe meglio gestire tramite il varo di un sistema elettorale maggioritario “secco”, senza “ripescaggi”. Insomma, la riforma della Legge Elettorale dovrebbe prevedere, tra l’altro, l’inserimento del meccanismo del quale abbiamo accennato. Poi, dato che siamo nel Terzo Millennio, il voto per corrispondenza appare anacronistico, insicuro e poco pratico. L’introduzione del voto elettronico, o tramite scannerizzazione dell’impronta digitale, garantirebbe l’immediatezza e la riservatezza della fondamentale manifestazione democratica. Senza, tra l’altro, sottacere l’immedita assunzione dei risultati ( parziali e totali) da parte del Ministero dell’Interno con un costo gestionale molto inferiore a quello che è ora sostenuto. Il tutto, ovviamente estendendo il diritto di voto passivo anche a candidati non necessariamente residenti all’estero. A dieci anni dal varo della legge voluta intensamente dall’On. Tremaglia, dobbiamo rilevare che non è cambiato nulla. Pur avendo apprezzato le proposte d’emendamento che, però, giacciono in qualche cassetto della Commissione sulle Riforme Costituzionali. Sino a quando il diritto di voto degli italiani dall’estero resterà una futuribile proposta? La risposta ai quattro milioni di Connazionali nel mondo che potrebbero, tra l’altro, fondare un loro partito con la certezza di un “peso” non indifferente sui destini di questa nostra Repubblica.
Giorgio Brignola