Non lo avrebbe fatto per l’amicizia che mi ha sempre dimostrato. Farina: Cossiga non mi ha certamente usato per diffondere falsità  post mortem su Moro

di Renato Farina

L'articolo che Italia Oggi di martedi 20 ha pubblicato sul mio libro «Cossiga mi ha detto» è importante: spezza l'omertà che lo ha finora circondato, entrando nel merito dei contenuti, che in alcune pagine sono tremendi, e talvolta profetici. Sulla profezia ne cito una sola: è incredibile come, nel luglio del 2008, Cossiga vedesse in Maroni il pericolo prossimo per il governo Berlusconi insieme ad indagini «di Milano e di Napoli». Ma le profezie, anche quelle azzeccate, non possono essergli imputate come menzogne, al massimo sono indovinate o no (e lui ci azzecca), invece il racconto di fatti dei quali è stato testimone diretto, sì. E Italia Oggi lo fa.

Piero Laporta, autore dell'accusa, è studioso di fatti di terrorismo tra i più preparati, ed è uomo retto, incapace di annacquare il suo vino per opportunismi vari. A partire dalle sue convinzioni forti, direi marmoree, giudica che Cossiga abbia riferito bugie sul caso Moro (Laporta ci vede la mano sovietica e una qualche complicità omissiva di Cossiga), sull'assassinio di Giorgiana Masi nonché sul patto tra Moro e i palestinesi (per il presidente emerito equivaleva a una immunità sul territorio italiano per i fedayn; per Laporta solo a un sostegno politico).

Su tutte queste vicende io non voglio né posso mettermi a fare da arbitro tra i due, come un perito del Tribunale della Storia: non ho la patente. Di alcune cose sono però certo, e queste riguardano la sfera più intima che ci sia, quella dell'amicizia. Sulla base di questa sicurezza affettiva, e percependo il dolore intenso, fisico e insieme come una strozza all'anima, che Cossiga mi trasmetteva parlandomi di Moro, posso dire che non mi ha ingannato, né usato per diffondere post-mortem delle falsità.

Per questo ritengo che il vino dell'amico Laporta sia, a proposito dei sentimenti di Cossiga, invecchiato male e diventato dopo tanti anni aceto. Cossiga è un uomo che ha stracciato la tessera di giornalista quando fui radiato (ora la sentenza è stata annullata definitivamente dalla Cassazione). Mi fece chiamare dai suoi carabinieri di scorta poco prima di morire (non parlava più al telefono) per ringraziarmi dei miei messaggi e per domandare il nome di mia moglie. Sono prove (e le sento come carezze di un padre moribondo) del fatto che non mi ha usato come un pupazzo tonto… Perché allora, a un certo punto, improvvisamente, dopo aver lodato il libro,Cossiga si è chiuso nel silenzio? Ipotesi ne ho, nessuna però che c'entri con l'inganno.

Approfitto dello spazio concessomi per riferire ai tuoi lettori di un'altra recensione che mi è stata dedicata da Pasquale Chessa sull'Espresso. Dice, in forma di intervista, che questo libro è una bufala ed io ho agito come burattino di Pio Pompa. Bum! Mi ha colpito un fatto. Cossiga, poco prima di morire, mi ha spedito due scatole con i ritagli degli insulti che gli ha dedicato il kombinat debenedettiano di Repubblica-Espresso per anni e anni. E dire che – lo rivela sempre Cossiga nel mio libro (fatto di 27 ore di conversazioni registrate) – il presidente alla Casa Bianca difese per amor di patria l'Olivetti dell'ingegner De Benedetti dall'accusa gravissima di essere fornitrice di tecnologia sensibile all'Urss. Cosa – ritiene Cossiga – invece vera e documentabile.

Interessante che Chessa (biografo di Cossiga e candidato alla custodia del suo archivio) si allei ora all'Espresso. Ancora più tragica e interessante la menzogna di Chessa ospitata dall'Espresso, secondo cui Cossiga avrebbe «deciso» di morire. La storia della morte di Cossiga la racconto nel mio libro, inconfutabile, ed è diversa, molto diversa.

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