“La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l’angolo, in un’altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti – dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 – raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull’altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche.”
“Sopra i tetti dei soldati israeliani che controllavano il massacro, non intervenivano per fermare i colpevoli, anzi erano una sorta di guardie o divinità armate dei tetti.2
Raccontatela anche a scuola questa Storia, di cui si teme a tutt’oggi di parlarne: c’è la Rete adesso, usiamola. Io ho scelto due articoli e dei video, per chi volesse saperne qualcosa, anche di queste giornate.
“Galleggia su you tube come un film disegnato, ad esempio Valzer con Bashir. Da non perdere, quasi fosse una richiesta di vita, un film…”Sopra i tetti dei soldati israeliani che controllavano il massacro, non intervenivano per fermare i colpevoli, anzi erano una sorta di guardie o divinità armate dei tetti.”
Doriana Goracci
“Valzer con Bashir”: film documentario sulle colpe dei falangisti e dell’esercito israeliano
Cosa succede quando un regista racconta la verità nuda e cruda sul popolo a cui appartiene? Dipende dal popolo al quale appartiene ovviamente. Se sei iraniano puoi essere arrestato con tutta la tua famiglia come è successo il 2 marzo 2010 a Jafar Panahi oppure essere esiliato com’è accaduto a Bahman Ghodabi per il suo film “Gatti Persiani”. Ma se il regista è israeliano e ha vinto un Golden Globe non può essere arrestato. Ari Folman è nato ad Haifa e ha sempre saputo la differenza fra bene e male, fra queste due forze che dall’inizio della memoria umana si contendono l’uomo. Nel 2008 con il suo film “Valzer con Bashir” è riuscito a far parlare attraverso l’arte la sua coscienza e l’ha fatto costruendo un documentario sulla prima guerra libanese e sul massacro di Sabra e Shatila del 1982. Folman opta per il film d’animazione, forse per attenuare la crudezza delle immagini e dei simboli o forse perché altrimenti il film sarebbe stato di portata maggiore e quindi ci sarebbe stata la possibilità di rischiare la propria vita. Ma cosa mostra esattamente il regista israeliano in un film d’animazione sulla guerra? Semplicemente, la verità. La verità con gli occhi di un soldato, Folman(doppiato dallo stesso regista), che non ricorda i fatti accaduti in Libano. Troppo sangue, troppe ingiustizie, troppi ordini eseguiti senza discutere. Non è mai l’etica a guidare le guerre ma alcune volte persino i soldati non capiscono i perché di assassinii che ne non giovano l’esito. Il film si apre con una sequenza terrificante: 26 cani che inseguono un uomo, i cani sono neri, grandi, feroci. È il racconto di un sogno che ossessiona un ex soldato amico di Folman. I 26 cani sono esistiti veramente ma non hanno mai inseguito il soldato, sono infatti stati uccisi in Libano dallo stesso soldato ed ora ritornano in sogno pretendendo vendetta. Folman però non ricorda, è come se qualcuno gli avesse cancellato la memoria, ha voluto dimenticare gli episodi della guerra e tutto ciò che i suoi occhi hanno visto. Rendendosi conto di questo, decide di riprendersi i propri ricordi ad ogni costo. Inizia così ad indagare, a chiedere ai suoi amici ex soldati, a reporter, ad estranei. Ogni parola, ogni racconto è una visione e ciò si presenta come tanti piccoli flash back che illuminano la memoria del protagonista ma rendono più scuro il suo animo. Arriva così a rivedere le ingiustizie di quel massacro del 16-18 settembre del 1982 di cui si ha paura di parlare ancora oggi. Sabra e Shatila erano due campi di rifugiati palestinesi nella periferia di Beirut. È stato un vero e proprio massacro di bambini, donne, vecchi, giovani. La popolazione che abitava i due campi non è precisa ma si arriva anche a parlare di 3500 persone. Nessuno si è salvato. Non è stata una “semplice e veloce” fucilazione. I corpi di bambini, donne, vecchi e giovani sono stati squartati e le varie parti dei corpi lanciate ovunque nelle strade polverose e bagnate di sangue. Una scena horror, da brividi, inumana, raccapricciante, inutile: dicono coloro che hanno visto il campo l’indomani del massacro. Teste di bambini accanto a corpi di giovani donne senza gambe, bambini senza testa ammucchiati tutti insieme, arti rotti da fucilazioni ossessive, violenze contro cadaveri.
Chi è il colpevole?
Sopra i tetti dei soldati israeliani che controllavano il massacro, non intervenivano per fermare i colpevoli, anzi erano una sorta di guardie o divinità armate dei tetti.Sono stati i falangisti con il benestare dell’esercito israeliano a voler la fine di Sabra e Shatila, campi profughi nei quali non c’erano armi per difendersi dagli attacchi. I morti oscillano, dopo 28 anni non abbiamo ancora una certezza del numero e forse non riusciremo mai ad avere la sicurezza di nulla. I morti oscillano tra i 300 e i 3500, tutto dipende dalla fonte ascoltata. Nel 2001 la Corte di Cassazione Belga apre un processo su Sabra e Shatila, un processo basato su una legge del 1993 la quale conferiva competenza universale ai tribunali belgi per i crimini di guerra e contro l’umanità. Israele non si dimostrò ragionevole e stranamente Elie Hobeika, ritenuto il responsabile materiale dell’eccidio, dopo aver detto di voler confessare tutto muore a Beirut in un attentato. La Corte di Cassazione chiude l’inchiesta. Ari Folman, il regista israeliano, attraverso l’arte ha cercato di rappresentare l’accaduto indicando palesemente i colpevoli: i falangisti (milizie cristiane libanesi). Il perché di tutto quest’odio?Il 14 settembre 1982 il Presidente della Repubblica Bashir Gemayel cadde vittima di un attentato. I falangisti guidati da Elie Hobeika attuarono la propria vendetta due giorni dopo con il sopporto dell’esercito israeliano. Vendetta o no, rimane comunque un massacro e gli esecutori sono ancora liberi di continuare ognuno la propria guerra personale a discapito di innocenti. Doppiatori originali del film: Ari Folman, Mickey Leon, Ori Sivan, Yehezkel azarov, Ronny Dayag, Shmuel Frenkel, Dror Harazi, Ron Ben-Yishai. Durata 90 minuti. La sceneggiatura è stata scritta da Ari Folman. Distribuito da Lucky Red. Written by Alessia Mocci
Sabra e Shatila (talora trascritto Chatila, in arabo: صبرا وشاتيلا, á¹¢abrÄ e ShÄtÄ«lÄ) sono due campi di rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut (Libano). Vengono ricordati per il massacro di un numero di arabi palestinesi stimato tra diverse centinaia e 3500[1], perpetrato da milizie cristiane libanesi in un’area direttamente controllata dall’esercito israeliano, tra il 16 e 18 settembre del 1982. Sono anche ricordati per successivi fatti di sangue avvenuti nel 1985–1987 e noti come guerra dei campi. La guerra civile libanese (1975-1990) influì anche sul conflitto palestinese: infatti Israele sostenne militarmente con armi e addestramenti speciali la comunità cristiana dei maroniti e l’Esercito del Sud-Libano (cristiano-maronita) di Sa’d Haddad contro l’OLP e le forze armate siriane.
Le trattative
All’inizio di giugno del 1982 gli israeliani iniziarono l’assedio di Beirut e accerchiarono i 15.000 combattenti dell’OLP e dei suoi alleati libanesi e siriani all’interno della città. All’inizio di luglio, il presidente degli USA Ronald Reagan inviò Philip Habib – fiancheggiato da Morris Draper – con l’incarico di risolvere la crisi. Cominciarono lunghe ed estenuanti trattative rese assai difficili dal fatto che gli Israeliani e gli Statunitensi non vollero discutere direttamente con i Palestinesi, e i Palestinesi asserragliati nella città non vollero abbandonarla perché temevano ritorsioni dei soldati israeliani e dei loro alleati falangisti. Habib ottenne faticosamente dal Primo Ministro israeliano l’assicurazione che i suoi soldati non sarebbero entrati a Beirut Ovest e non avrebbero attaccato i Palestinesi nei campi profughi; ottenne l’assicurazione del futuro presidente libanese, Bashir Gemayel (Giumayyil, figlio di Pierre Gemayel uno dei fondatori delle Falangi), che i falangisti non si sarebbero mossi, e infine ottenne l’assicurazione da parte del ministero della difesa degli USA che ci sarebbe stato un contingente militare USA a garantire gli impegni presi. L’accordo fu firmato il 19 agosto, ma la situazione stava di nuovo per cambiare: il 23 agosto del 1982 venne eletto Presidente del Libano Bashir Gemayel, che godeva del favore dei maroniti e di Israele.
Il 20 agosto, alla vigilia dell’imbarco dei primi miliziani palestinesi, che cominciano ad evacuare la città, venne pubblicata negli USA la quarta clausola dell’accordo per la partenza dell’OLP, che così recita:
« I Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie di sicurezza … Gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto »
(American Foreign Policy, Current documents, 1982, Dipartimento di Stato, Washington D.C.)
Yasser Arafat preoccupandosi lo stesso per la sorte dei profughi palestinesi insisté sull’invio di una forza multinazionale che garantisse l’ordine. La richiesta ufficiale di intervento di una forza multinazionale di interposizione venne consegnata il 19 agosto 1982 dal ministro degli esteri libanese Fu’ad Butros agli ambasciatori di Stati Uniti, Italia e Francia. Il piano, fatto accettare dal mediatore USA Philip Habib a Libanesi, Palestinesi e Israeliani prevedeva l’intervento di 800 soldati
statunitensi, 800 francesi e 400 italiani per garantire l’ordine durante il ritiro delle forze dell’OLP da Beirut. Il mandato della forza multinazionale era di un mese, dal 21 agosto al 21 settembre, e avrebbe potuto essere rinnovato su richiesta dei libanesi in caso di necessità. Tutti i combattenti palestinesi sarebbero dovuti partire entro il 4 settembre, e in seguito la forza multinazionale avrebbe collaborato con l’esercito libanese per portare una sicurezza durevole in tutta la zona delle
operazioni. Il 21 agosto arrivò a Beirut il primo contingente internazionale mandato dai Francesi e nel giro dei due giorni successivi anche i soldati italiani e americani presero posizione nella città. A questo punto Arafat acconsentì di abbandonare Beirut insieme ai suoi 15.000 guerriglieri.
La situazione precipita
Il primo giorno di settembre, l’evacuazione dell’OLP dal Libano fu dichiarata terminata. Due giorni dopo, le armate israeliane avanzarono e circondarono i campi-profughi palestinesi, venendo meno al patto siglato con gli eserciti cosiddetti “supervisori”, che però non fecero nulla per fermarle. Caspar Weinberger, segretario alla difesa americana, ordinò ai marines di abbandonare Beirut il 3 settembre. Esattamente lo stesso giorno le milizie cristiano-falangiste,
alleate degli Israeliani, presero posizione nel quartiere di Bir Hassan, ai margini dei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila. La partenza degli Statunitensi comportò automaticamente quella dei Francesi e degli Italiani. Il 10 settembre gli ultimi soldati partirono da Beirut, 11 giorni prima di quanto sarebbe dovuto accadere. Il giorno dopo, l’allora Ministro della Difesa Ariel Sharon contestò la presenza di 2000 guerriglieri dell’OLP rimasti in territorio libanese; i Palestinesi negarono il fatto. Il premier israeliano Menachem Begin convocò il neo-presidente Gemayel a Nahariya per fargli firmare un trattato di pace con Israele, anche se alcune fonti[2] sostengono che Begin chiese a Gemayel di permettere la presenza delle truppe israeliane nel sud Libano, con a capo Sa’d Haddad, ex capo dell’Esercito del Sud-Libano; a Gemayel fu anche chiesto di dare la caccia ai 2000 guerriglieri palestinesi la cui presenza era stata denunciata da Sharon. Gemayel, anche a causa dei crescenti rapporti di alleanza con la Siria, rifiutò e non firmò il trattato. Il 14 settembre 1982, Gemayel fu ucciso in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani. Il 15 settembre 1982, le truppe israeliane invasero Beirut Ovest. Con quest’azione, Israele ruppe l’accordo con gli USA che prevedeva il divieto di entrare in Beirut Ovest, gli accordi di pace con le forze musulmane intervenute a Beirut e quelli con la Siria. Nei giorni successivi il premier Begin definì l’azione come una contromisura per “proteggere i rifugiati palestinesi da eventuali ritorsioni da parte dei gruppi cristiani”, mentre pochi giorni dopo Sharon affermò al parlamento che “l’attacco aveva lo scopo di distruggere l’infrastruttura stabilita in Libano dai terroristi”.
Il massacro
In cerca di vendetta per l’assassinio di Gemayel e coordinandosi con le forze israeliane dislocate a Beirut ovest, le milizie cristiano-falangiste di Elie Hobeika alle 18,00 circa del 16 settembre 1982, entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila. Il giorno prima, l’esercito israeliano aveva chiuso ermeticamente i campi profughi e messo posti di osservazione sui tetti degli edifici vicini. Le milizie cristiane lasciarono i campi profughi solo il 18 settembre. Il numero esatto dei morti non è ancora chiaro. Il procuratore capo dell’esercito libanese in un’indagine condotta sul massacro, parlò di 460 morti, la stima dei servizi segreti israeliani parlava invece di circa 700-800 morti.
David Lamb scrive sul quotidiano Los Angeles Times del 23 settembre 1982:
« Alle 16 di venerdì il massacro durava ormai da 19 ore. Gli Israeliani, che stazionavano a meno di 100 metri di distanza, non avevano risposto al crepitìo costante degli spari né alla vista dei camion carichi di corpi che venivano portati via dai campi. »
Elaine Carey scrive sul quotidiano Daily Mail del 20 settembre 1982: « Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L’odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l’uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore »
Loren Jankins scrive sul quotidiano Washington Post del 20 settembre 1982: « La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l’angolo, in un’altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti – dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 – raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull’altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche. »
Testimonianza di Ellen Siegel, cittadina americana, infermiera volontaria, ebrea « In cima all’edificio soldati israeliani guardavano verso i campi con i binocoli. Miliziani libanesi arrivarono in una jeep e volevano portare via un’assistente sanitaria norvegese. Ci rivolgemmo ad un soldato israeliano che disse ai miliziani di andare via. Infatti partirono. Alle 11.30 circa gli israeliani ci condussero a Beirut Ovest. Sedetti sul sedile anteriore di una jeep della IDF. L’autista mi disse: «Oggi è il mio Natale (intendendo la festività ebraica del Rosh haShana). Vorrei essere a casa con la mia famiglia. Credete che mi piaccia andare porta a porta e vedere donne e bambini?» Gli chiesi quante persone avesse ucciso. Rispose che non era affar mio. Disse anche che l’armata libanese era impotente, erano stati a Beirut per anni e non avevano fatto nulla, che Israele era dovuta arrivare per fare tutto il lavoro. »
11/09/16/sabra-shatila-scuola-storia-israele-palestina-libano/