Fare dei raffronti della nostra Crisi con quell’Economica Mondiale del 1929 non solo ci sembra anacronistico, ma anche fuori della realtà dei mercati; soprattutto degli europei che, poi, sono quelli che potrebbero “controllare” la crisi di solvibilità di tutti i Paesi UE. Italia compresa. Per salvare la situazione, si è mossa, pur se in ritardo, la politica. Con le conseguenze che ci sono, anche se parzialmente, note. I nostri parlamentari, che non sono necessariamente avvezzi ai problemi d’economia, non hanno, però, compreso che per superare il primo impatto congiunturale negativo sarebbe necessario rivedere le regole interne dei mercati finanziari, ridurre il debito pubblico partendo dal vertice ed evitare investimenti a crescita zero se non in passivo. La manovra finanziaria del Governo, pur tenendo conto dei prefati assiomi, ci sembra sbilanciata per garantire un effettivo scampato pericolo di recessione. Senza entrare nel merito sulle linee proposte dall’Opposizione, quando si discute ancora sugli incrementi IVA, d’eventuale imposta patrimoniale, o di rivedere lo statuto dei lavoratori, allora c’è da stare accorti. Se si falliscono adesso gli interventi, si andrebbe a rischiare molto, forse troppo. Tenuto anche conto che la ricchezza prodotta sulla carta non corrisponde mai a quella effettivamente in essere sul mercato. Che la crisi sia una realtà internazionale, nessuno lo può negare; da noi, però, la tempesta finanziaria ha assunto i colori accesi della politica. In Italia si continua, in pratica, a privilegiare gli “scontri”, più che gli “incontri”. Con tutto ciò che ne deriva. Non esistono, al momento, manovre finanziarie prive di rischio. Resta che gli emendamenti alla tattica varata consentono, almeno, un calo efficace degli stessi. Lasciamo stare i beni rifugio e tentiamo d’investire nel futuro d’Italia. La marea speculativa è ancora lungi dal ritirarsi. L’importante è riuscire, senza troppo dispendio d’energia, a “galleggiare”. Del resto, il nostro Paese non è nuovo a situazioni del genere. Quella più recente l’abbiamo vissuta, e superata, nel 1992. Allora con un impegno significativo sulla valuta da parte della Banca d’Italia. Oggi, in area Euro, una manovra simile non sarebbe più possibile. Né da noi, né in nessun altro Stato UE. In un sistema monetario tanto esteso e giovane, i rischi sono maggiori. Controllare le spese non è più sufficiente per recuperare un bilancio in deficit. Bisogna, in qualche modo, aumentare le entrate. Da qui la manovra che ci costerà “lacrime e sangue”. Per come s’evidenzia la crisi a livello UE, i mercati non sembrerebbero direttamente interessati alla tenuta dei nostri conti pubblici, bensì alla validità della moneta unica su scala internazionale. Il difficile, almeno secondo noi, è tener separata la nostra politica economica da quella di bilancio europeo. In un sistema, com’è l’attuale, dove la gestione della ricchezza è in mani di pochi, c’è solo da operare per il superamento della crisi di liquidità che continua a non darci tregua. La grande scommessa di Tremonti è proprio quella di gestire i conti dello Stato senza compromettere, più di tanto, l’andamento del mercato. In questi tempi di crisi resta, però, da interrogarci sui costi ed i benefici di una manovra finaziaria che ipotecheranno il nostro futuro per parecchi anni ancora.
Giorgio Brignola