Tratta di migranti, il nuovo business in barca a vela

di Maria Luisa Mastrogiovanni

Cominciarono ad arrivare in Salento, nel tacco d’Italia, alla fine del 2009, nascosti in barche a vela di lusso. Messi da parte i gommoni da 500 cavalli, facilmente individuabili dalle pattuglie della Guardia di Finanza, e i pescherecci traballanti, sono arrivati all’indomani della sottoscrizione dell’accordo Italia-Libia che, nelle intenzioni del Governo italiano, doveva bloccare il flusso migratorio dal sud del mondo verso l’Europa, passando per l’Italia.

Invece, «chiuso un “rubinetto” – come l’ha definito il procuratore capo di Lecce, Cataldo Motta – ne è stato aperto un altro, da tutt’altra parte». E’ la vecchia strada utilizzata dalla mafia turca, la cosiddetta «mafia di Aksaray», che garantisce il passaggio dei curdi verso la Grecia e da lì verso l’Italia.

La strada è la stessa, ma sono cambiati i mezzi, i migranti e le organizzazioni criminali che ci guadagnano.

Per loro, i nuovi trafficanti d’uomini, la mafia è roba vecchia. L’Europol, il dipartimento greco di contrasto alla tratta e la DIA di Lecce, sebbene attraverso indagini differenti, sono giunti alla stessa conclusione: il termine “mafia”, quando si parla di trafficking o smuggling, è superato. Sia il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo (il trafficking), sia il contrabbando il esseri umani (lo smuggling), cioè il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per trarne un vantaggio economico, sono gestiti a livello mondiale da poche reti criminali, piccole, dinamiche, efficienti, caratterizzate da un modello di organizzazione che gli stessi criminali definiscono «nucleare».

Significa che non esiste un vertice né una testa, ma tanti piccoli nuclei in rete con quelli più prossimi alla loro area di intervento ma scollegati con gli altri. Sono organizzazioni simili a quelle terroristiche, la cui contiguità con il terrorismo internazionale è ancora oggetto d’indagine. «Ci potrebbero essere – dice il direttore dell’Europol, Rob Wainwright – dei punti di contatto, addirittura delle sovrapposizioni tra le reti criminali che si occupano di traffico d’uomini e il terrorismo internazionale, ma bisogna essere cauti». L’analisi delle modalità di gestione della tratta che prevedono il passaggio tra la Grecia e la Turchia, nella zona dell’Evros, è contenuta nel documentario di recente produzione “Human goods: welcome to Europe”.

L’inchiesta giornalistica ha ora riscontro nei fascicoli della vasta indagine coordinata dal procuratore capo di Lecce Cataldo Motta (pm Guglielmo Cataldi, gip Nicola Lariccia) che ha dato un nome e un volto ai “nuclei” dell’organizzazione, emettendo oggi 18 mandati d’arresto nei confronti di altrettanti cittadini afghani, pakistani, indiani e rumeni, referenti dei rispettivi nuclei criminali con diramazioni, oltre che nelle nazioni d’origine, in Italia, Germania, Turchia Grecia.

La caratteristica principale del procedimento penale intrapreso dalla procura di Lecce è data dal fatto che, come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso «l’operazione è stata effettuata per la prima volta dalla sezione di Antimafia». Per la prima volta infatti «è stato contestato un reato di nuova competenza delle direzioni distrettuali antimafia, quello di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina previsto dal sesto comma dell’articolo 416 del codice penale».

Gli inquirenti hanno spiegato che «sono stati acquisiti inconfutabili elementi investigativi circa l’esistenza di una associazione operante in varie nazioni e quindi idonea a concretizzare la fattispecie della transnazionalità di cui all’art. 4 della legge 16/03/2006, n. 146», di conseguenza agli indagati è stata contestata l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 4 della legge n.146/2006 ovvero di aver fatto parte di una associazione per delinquere transnazionale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Nel corso delle investigazioni, condotte dalla Squadra Mobile di Lecce e svolta nella fase esecutiva anche con l’ausilio delle Squadre Mobili di diverse città italiane (Bologna, Ravenna, Milano, Roma, Bari, Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova ) sono stati delineati i ruoli degli indagati all’interno dell’organizzazione, attraverso numerose intercettazioni telefoniche e la mappatura dei segnali GPS.

Alcuni indagati radunavano i migranti in Turchia e organizzavano il viaggio verso Lecce e Crotone attraverso imbarcazioni a vela. Altri gruppi (i nuclei) procuravano all’organizzazione i migranti che, provenendo dall’Afghanistan, intendevano raggiungere la Germania e la Svezia attraverso l’Italia. Altri ancora radunavano i migranti una volta giunti in Italia e assicuravano il trasporto verso le destinazioni finali utilizzando anche immobili a disposizione dell’organizzazione tra cui quelli di Malignano (CR), Trescore Cremasco (CR) e Covo (BG) dove i clandestini venivano nascosti dagli stessi indagati in attesa di effettuare il viaggio per il nord Europa. Un ulteriore ‘nucleo’ operava nel centro C.A.R.A. di Bari, assicurava il trasferimento dei migranti verso il nord Italia e poi verso le nazioni del nord Europa una volta che gli stessi, giunti sulle coste del Salento, venivano condotti dalle forze dell’Ordine presso il centri C.A.R.A. di Bari. Altri indagati procuravano all’organizzazione i migranti che, gravitanti su Roma, intendevano raggiungere illegalmente il nord Europa e ne organizzavano il trasporto verso il nord Italia dopo averli uniti ad altri che, dopo essere sbarcati sulle coste del salento e in Calabria, venivano concentrati presso i centri di accoglienza di Bari e di Crotone.

Infine, un unltimo ‘nucleo’ assicurava il trasporto del clandestini verso la Francia e il Belgio avvalendosi di vari trasportatori.

L’organizzazione criminale gestiva in maniera unitaria i soldi: è stato infatti trovato un libro mastro con l’annotazione delle entrate ed è stato decriptato il metodo usato per i pagamenti, il cosiddetto “sarafi”, che prevede l’utilizzo di agenzie di cambio sparse nei paesi dei vari ‘nuclei’, dall’Afghanistan, all’Italia, alla Germania, dove i soldi venivano versati in anticipo e poi accreditati solo dopo che la “merce”, i migranti, giungevano a destinazione.

——–

* Maria Luisa Mastrogiovanni è autrice di “Human goods: welcome to Europe”, inchiesta finalista del Best International Organised Crime Report, premio indetto da FLARE Network in collaborazione con il Premio Ilaria Alpi e Novaya Gazeta, realizzato con il cofinanziamento della Camera di Commercio di Lecce, presentato il 18 giugno proprio in occasione del Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi a Riccione.

“Human goods: welcome to Europe” è disponibile su Bright Magazine ).

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy