Amministrative a Milano, non è soltanto una partita di calcio

– di Franco Narducci –

Il dato eclatante delle recenti elezioni amministrative italiane non è costituito soltanto dalla sconfitta personale e politica di Silvio Berlusconi che, comunque vadano le cose, vede il consenso personale dimezzato proprio nella sua Milano, quanto dalla sconfitta dell’ultima versione del berlusconismo, quella in chiave leghista che offende la Costituzione e alle istituzioni repubblicane. Infatti, la città che ha generato il patrondi Mediaset e ha dato i natali alla Lega e al bossismo, nel momento in cui si trattava di dare il suggello finale a una scelta politica antistituzionale, egoista, xenofoba e larvatamente separatista, ha scelto per un moderatismo di segno totalmente opposto: quello tollerante, operoso, realista e istituzionale impersonato dall’avvocato Pisapia.

Ma la fine dell’esperienza di governo di Berlusconi e dei suoi compagni di viaggio sarà sicuramente accelerata dal loro modo di reagire alla sconfitta, posto che, escluso lo zoccolo duro, una percentuale dei voti leghisti è voto di opinione e il Pdl appare sempre più pieno di crepe. Per il Capo del Governo, con il turno elettorale di metà maggio, si è chiuso solo il primo tempo di una partita che comunque potrà essere vinta nel secondo tempo se non a Milano almeno a Napoli e a Cagliari, fatto questo che comunque basterà per vincere il “campionato” (non conta la città ma i punti totalizzati, quindi).

In buona sostanza il campionato si può vincere ancora, anche se si fa uno scivolone in casa, come sanno gli allenatori più bravi; l’importante è mantenersi in testa alla classifica, ossia presentare una maggioranza parlamentare decisa ad andare avanti in tutti i modi fino al termine della legislatura e mantenere le posizioni precedenti guadagnando almeno una delle quattro città principali in cui si è votato e si vota – Milano, Torino, Napoli e Bologna – posto che tre erano già di centrosinistra.

La lettura calcistica della vicenda politica evidentemente non è adeguata. La rottura del blocco sociale che reggeva Berlusconi e la Lega, partita dalla borghesia moderata milanese ed emblematicamente guidata dal primo presidente democristiano della Regione, Piero Bassetti, scenderà impietosamente lungo il dorso della Penisola. E se anche per ipotesi al ballottaggio il Pdl dovesse riprendersi Milano, Napoli e Cagliari, sotto il profilo politico il danno alla coalizione di governo è irreversibile perché ciò che conta è la risposta che ha dato l’elettorato alla richiesta fattagli al primo turno di dare un giudizio politico sul premier e sul suo governo, un giudizio che è stato negativo. Infatti, nel ballottaggio i generali sconfitti della maggioranza, col proposito di iniziare tutto da capo, stanno chiedendo agli abitanti di due grandi città come Milano e Napoli – comunque moderate e governative – di dare il loro consenso a due cittadini moderati e governativi contro due candidati, Pisapia e De Magistris, che effettivamente sono espressioni di forze politiche che hanno rappresentato la provocatoria risposta estremista di sinistra all’estremismo centrista irrazionale di Silvio Berlusconi e della sua maggioranza (a tacer di Cagliari il cui candidato sindaco di centro destra, Massimo Fantola, appartiene a uno schieramento politico, quello di Mario Segni, notoriamente antiberlusconiano e che perciò è stato digerito male dallo stesso premier). Allora, il fatto che questo elettorato potrebbe sentirsi appagato dalla risposta data alla prima domanda – “volete o no ancora Berlusconi al governo?” – e decidere in un secondo tempo di scegliere sul solco delle posizioni moderate i candidati di centrodestra, nulla toglie alla sconfitta politica dell’uomo di Arcore.

La reazione di Berlusconi e della sua maggioranza ispirata allo stile degli allenatori che archiviano la partita e pensano subito a quella successiva, in politica metodologicamente rimanda piuttosto al comportamento degli oligarchi mediterranei che in questi giorni non si rassegnano in alcun modo a perdere il potere che detengono da qualche decennio – magari facendo concessioni tardive -, tanto essa pare improntata al più sostanziale disprezzo dei valori democratici. Il presidente Berlusconi non si chiede neanche per un istante se per caso non abbia sbagliato qualcosa nell’approccio ai problemi del paese, se gli sia sfuggito qualche dettaglio o ci sia stata alcuna caduta di stile nella sua condotta personale. Niente affatto. Si è solo sbagliata la tattica elettorale. Mutata la tattica, tutto ritornerà come prima e si procederà trionfalmente alla conclusione della legislatura. In fondo abbiamo i numeri, no? Ma le promesse a Bossi – come quella di trasferire due ministeri a Milano, una balla elettorale davvero vergognosa – spaccano il Pdl sull’altro fronte, quello di Alemanno e i suoi colleghi ex An rimasti nel Pdl. Insomma, un bel pasticcio davvero che ingarbuglia ancor di più la maggioranza.

È proprio questa mancanza di autocritica, il non saper trarre insegnamento dalla sconfitta elettorale in un momento così delicato di crisi economica e sociale, l’aspetto che spaventa. Quanto dovrà pagare il Paese per questa cecità? Quanto costerà all’Italia la lenta agonia cui la sottoporrà un governo che nasconde continuamente la testa sotto la sabbia, da un lato occupato a risolvere solo i problemi personali del suo premier e dall’altro ad affrontare quelli della sua successione.

Intanto, il rapporto annuale Istat fotografa una realtà gravissima: il nostro è un Paese lento, senza lavoro; un italiano su 4 sperimenta povertà e ristrettezze, il peso del welfare grave sulle spalle delle donne ed è calato ancora il potere d’acquisto delle famiglie. È ora che Silvio Berlusconi faccia il passo che libererà l’Italia da un miraggio che non si è materializzato.

* Vice presidente della Commissione affari esteri della Camera

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Franco Narducci

Vicepresidente

Commissione Affari esteri

Camera dei Deputati, Roma

Tel. ++39 06 6760 5698

Cel. ++39 338 677 04 24

narducci_f@camera.it

www.franconarducci.com

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