NESSUNA NUOVA

Anche la primavera 2011 sta finendo con segnali in negativo sul fronte dell’occupazione. Che avrebbe dovuto essere uno degli impegni prioritari del Governo Liberista a guida Berlusconi. Invece, la situazione del lavoro nella penisola è sempre più precaria. Secondo i dati ISTAT, la percentuale dei disoccupati è ancora sopra l’8%. Come a scrivere, perché le percentuali dicono poco, che nel periodo maggio 2010/2011 sono volatilizzati almeno ventimila posti di lavoro. Questi sono dati reali e, quindi, degni del massimo rispetto. La crisi internazionale è stata affiancata anche da una fase involutiva interna che non ha avuto riscontro se non nella vicina Grecia che, purtroppo, sta peggio di noi. Eppure non tutto è andato male. Il costo del lavoro è calato dell’1,7% e l’inflazione non ha mai superato il tetto psicologico del 2%. Di fatto, però, l’azienda Italia non è mai stata così male. Neppure nei periodi bui della recessione degli ultimi decenni del secolo scorso. E non è neppure vero che le cose siano andate meglio nelle piccole e medie imprese. Per non scrivere dell’artigianato che da noi vive una lenta, ma inesorabile, agonia. Le forze sociali, divise più che mai, auspicherebbero una concertazione decentrata per tentare di tamponare l’emergenza. Tuttavia se questa tesi può anche essere percorribile per chi lavora, nulla può nei confronti delle migliaia di disoccupati sempre alla ricerca del mitico posto a “tempo indeterminato”. E’ difficile, molto difficile, fare delle previsioni, non tanto per l’estate, quanto per il prossimo autunno. Che, indiscutibilmente, sarà “caldo”. La nostra presenza in area Euro deve essere mantenuta stabile; anche a costo d’altri sacrifici. Il punto nodale rimane sempre lo stesso: non aumentare le imposizioni dirette ed indirette, ridurre la mastodontica spesa della macchina statale ed essere più competitivi a livello internazionale. La ricetta, per nulla miracolosa, potrà trovare applicazione, però, non prima del 2004. In pratica dopo le consultazione politiche della prossima primavera. Per ora, ha buon gioco la stasi del compromesso, con tutte le conseguenze che sono tipiche di un mercato frenato che ci consente di prevedere un Prodotto Interno Lordo (PIL) non superiore all’1% per il corrente anno. Per arrivare al 2% serviranno, nella migliore delle ipotesi, ancora due o tre anni. Se, poi, il tutto si ribalta sul piano politico, allora i conti non torneranno mai; comunque ci si guardi attorno. Il fronte del malessere s’allega in modo preoccupante ed il disagio economico degli inizi del nuovo millennio si è fatto povertà. Dopo tante promesse, con l’illusione di un federalismo ad oltranza, il Paese si è impoverito e, come il solito, il Sud paga lo scotto maggiore. Nel Nord, l’equilibrio occupazionale è garantito dalla presenza di lavoratori extracomunitari; ma la tendenza non consente di prevedere tempi migliori neppure per loro. Manca, soprattutto, un piano governativo occupazionale senza l’interferenza dei sindacati che stanno perdendo d’affidabilità proprio per il progressivo scollamento dalla realtà italiana. E’ inutile nasconderci dietro le verità di comodo. Con la filosofia del “poi”, possiamo scrivere, con non poca amarezza, che da noi nessuna nuova non significa necessariamente buona nuova.

Giorgio Brignola

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