Le cause per diffamazione, un modo per limitare la libertà  di stampa. Il caso armeno

di Daniela Ferrara

L’abuso di cause per diffamazione rivolte contro i giornali, specie se indipendenti, può diventare un modo per limitare la libertà di stampa. I giornali indipendenti, infatti, privi delle coperture economiche per rispondere a cause milionarie rischiano la chiusura. Se poi le cause per diffamazione vengono da potenti uomini politici, ecco che la volontà di limitare la libertà d’espressione da parte del potere diventa palese. Le cause per diffamazione possono così diventare uno strumento legale per compiere un disegno illegale: imbavagliare l’informazione. E’ quanto avviene in Armenia, piccola repubblica del Caucaso meridionale, democratica sulla carta ma inficiata da corruzione dilagante, abuso di potere, brogli elettorali. L’Armenia è però uno snodo fondamentale degli interessi energetici euro-americani e il Paese aderisce al programma Partnership for Peace della Nato. Facile quindi immaginare un certo lassismo da parte dei partner occidentali nel far rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali.

Non a caso Reporter sans frontières si è detta preoccupata per il crescente numero di denunce per diffamazione che coinvolgono i “media” armeni e per la sproporzione delle condanne richieste. Le multe salate minacciano l’attività di alcuni giornali e creano le basi di un clima propizio all’auto-censura. Questa tendenza al soffocamento giudiziario ed economico è sembrata ridursi quando, nel mese di aprile dell’anno scorso, l’abrogazione delle pene detentive per diffamazione o calunnia è stata salutata come una svolta democratica, ma la pressione ancora persiste. Solo nel corso del primo trimestre del 2011, si registrano dodici cause per diffamazione.

I giornali indipendenti sono le prime vittime di questa valanga giudiziaria. Il quotidiano Jamanak è attualmente sotto processo per tre casi diversi. In molti casi i ricorrenti sono i politici. Il sito di notizie online “Hetq”, fondato dalla Ong “Investigative Journalists”, è stato condannato, il 18 aprile scorso, dalla Corte di Cassazione a pagare al sindaco di Ljevan, Tavush Marz, 450.000 dram (820 euro) e a pubblicare una smentita ufficiale. La controversia verteva su una serie di articoli che avevano denunciato un cattivo uso del denaro da parte di alcuni funzionari locali. Avendo esaurito tutti i ricorsi giudiziari possibili, la Ong ha affermato che avrebbe fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Tra gli habitués dei contenziosi figura soprattutto la famiglia Kotcharian, potente lobby politica che ha in Robert Kotcharian il suo vertice. Kotcharian infatti è stato primo ministro dal 1997 al 1998 e poi, dal 1998 al 2008, presidente della Repubblica, segnando con la sua presenza ben dodici dei vent’anni di indipendenza dell’Armenia. La moglie dell’ex presidente, Bella Kocharian, e suo figlio, Sedrak Kocharian hanno chiesto al quotidiano Jamanak 6.000.000 dram (11.000 euro) per un articolo, pubblicato nel settembre 2011, che li vedeva coinvolti in atti illeciti finanziari. Nel 2009, la rivista Haykakan Jamanak era già stato condannata a pagare 3,5 milioni di dram (6400 euro) in favore di un altro esponente della famiglia, Levon Kocharyan.

Recentemente, lo stesso ex presidente si è trovato coinvolto in un sensazionale processo contro il giornale Hraparak per un articolo del 2 febbraio scorso che lo descriveva come “sanguinario” e “soggetto a colpi di testa”. Se il ricorso alla giustizia poteva essere giustificato, la richiesta di Robert Kotcharian di congelare i beni del giornale lo è molto meno. Tuttavia, tale richiesta è stata accolta alla prima udienza del processo. La decisione è stata revocata l’11 aprile scorso, ma l’azione dell’ex presidente rimane pericolosa perché tende a dimostrare che il vero scopo del contenzioso è lo strangolamento finanziario dei “media” indipendenti. L’Osce (Organization and Security for Co-operation in Europe), al quale appartiene l’Armenia, è molto chiara su questo punto: “L’importo della multa non può comportare il fallimento dei media in questione, né deve impedire il loro normale lavoro”.

Spiega Reporter sans frontières come la Giustizia, in realtà, sembra andare più nella direzione dei ricorrenti comminando ogni volta l’ammenda massima. Il 7 febbraio 2011, il giornale Haykakan Zhamanak è stato condannato a pagare 2,44 milioni di dram (circa 16 mila dollari) a ciascuno dei tre deputati, Ruben Hayrapetyan, Samvel Sargsyan e Levon Aleksanyan, per un articolo pubblicato il 14 ottobre del 2010 che citava un elenco di funzionari e uomini d’affari armeni coinvolti in procedimenti penali. L’editore, Gevorgyan Hayk, ha deciso di fare ricorso.

Oltre alle somme richieste dai denuncianti, i quotidiani devono far fronte a spese legali eccessive. L’abuso è tale che il foro della Repubblica Armena ha approvato una legge per limitare le spese legali fino ad un massimo di 300.000 dram (6.400 euro) nei casi di diffamazione. Il documento sarà presentato al Dipartimento di Giustizia per stabilirne l’applicabilità. “Reporters sans frontières” segue con attenzione tutti i casi pendenti. Oltre a quelli citati sopra, si attende la prossima udienza dei processi in corso per diffamazione tra il giornale Yerkir e il deputato Tigran Arzakantsian e tra la società “Glendale Hills” e il giornale Jamanak. Se attraverso la libertà di stampa si veicola la democrazia, ecco che in Armenia quest’ultima rischia di essere messa in discussione.

fonte: Reporter sans frontières

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