I parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici Italiani devono moltiplicare le iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale.
di Felice Besostri
Rino Formica ha posto il problema della riconferma di Giorgio Napolitano alla carica di Presidente della Repubblica nel maggio 2013. Poiché queste Camere sono state elette il 29 aprile 2008, è pacifico che il prossimo presidente sarà eletto dopo nuove elezioni politiche. Per il centro-sinistra eleggere un proprio candidato salvo una vittoria con premio di maggioranza è più difficile che ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi (2009) e Giorgio Napolitano (2006): nei delegati regionali c’è una netta prevalenza della destra dopo le elezioni del 2010. Nel 2006 il premio di maggioranza favorì un’Unione che si sarebbe rivelata instabile e rissosa: non si può sperare nelle crescenti difficoltà di Berlusconi per aspirare di vincere le elezioni e quindi rientrare in gioco per l’elezione del Presidente.
La strada maestra è l’abolizione di un premio di maggioranza di sospetta costituzionalità, poiché svincolato da ogni quorum in seggi o percentuale di voti.
La Corte Costituzionale l’ha denunciato in due sentenze del 2008 , ma l’invito a sottoporle la questione di costituzionalità è stato ignorato dalla magistratura ordinaria e amministrativa.
Il TAR Lazio, sez. II bis (sent. 1855/2008) e il Consiglio di Stato, sez. IV (sent. 1053/2008) sfuggirono al problema dichiarando la carenza assoluta di giurisdizione nei confronti dell’impugnazione dei decreti di convocazione dei comizi.
Il Tribunale di Milano, sez. I (sent. 5330/2011) in composizione monocratica, ha blindato la legge elettorale, dichiarando manifestamente infondate (!) le questioni di costituzionalità, compresa quella valutata come problematica dalla Corte Costituzionale stessa (sent. 15 e 16 del 2008).
Le potenzialità scardinatorie della legge elettorale, che ha sovvertito la forma di governo delineata dalla Costituzione, finora non si sono potute esprimere al massimo grado per una pura coincidenza, ancorché pilotata con lo scioglimento delle Camere elette nel 1996. L’attuale maggioranza, eversiva dell’ordinamento costituzionale, cioè magna parte quella che approvò la legge 270/2005 (detta “Porcellum”), non ha mai potuto eleggere un Presidente della Repubblica. Se avesse potuto farlo, è legittimo ritenere che sarebbe poi proceduta – in forza di una legge ordinaria – a scardinare gli stessi istituti di garanzia previsti in Costituzione: Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale.
Grazie al premio di maggioranza una maggioranza relativa, cioè una minoranza assoluta, si trasforma alla Camera in una comoda maggioranza del 54%. Sarebbero così a portata di mano i due terzi dei voti necessari a modifiche costituzionali senza referendum confermativi (scenario più volte segnalato su queste colonne, da ultimo nell'Editoriale del 20 settembre scorso, vai al sito), ma anzitutto sarebbe a portata di mano un’elezione a colpi di “premio di maggioranza” del Presidente della Repubblica.
Un così eletto Capo dello stato, smaccatamente di parte, sarebbe poi Capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. In tal veste nominerebbe cinque membri della Corte Costituzionale, che si aggiungerebbero a quelli eletti dalla artificiale maggioranza parlamentare, e che farebbero dieci membri su quindici, con forti capacità di influire anche sul restante terzo, esondando cioè sulle supreme magistrature ordinaria e amministrativa.
L'unica residua resistenza a un assoggettamento immediato della Corte Costituzionale all’esecutivo risiederebbe nella sola durata in carica per nove anni dei giudici costituzionali, il cui rinnovo è dunque diluito nel tempo. Troppo poco per garantire la salvezza della Repubblica!
Poiché il vigente premio di maggioranza è di dubbia costituzionalità mentre i tratti di incostituzionalità sono destinati ad aggravarsi se passassero progetti di premio di maggioranza nazionale anche per il Senato, l’unica scelta, che si impone, è l’abrogazione della legge.
Le forze per farlo in Parlamento non sembrano esserci, dato il vincolo di maggioranza PdL-Lega Nord, meglio detto Berlusconi-Bossi.
L’unica strada è il moltiplicarsi delle iniziative, possibilmente in ogni circoscrizione di Tribunale, per ottenere il rinvio alla Corte Costituzionale delle norme della legge elettorale, e in primis del premio di maggioranza.
Finora quest’azione è stata promossa da semplici elettori e avvocati nel totale e irresponsabile silenzio dei mezzi d’informazione, cioè in un clima che favorisce le pressioni sui singoli giudici.
Nelle prossime azioni dovranno essere protagonisti i parlamentari in carica, i senatori a vita, i giudici costituzionali emeriti e i più illustri giuristi democratici. Noi di qui rivolgiamo un esplicito appello alla loro coscienza civile.
P. S.: L’abolizione del premio di maggioranza è anche un contributo alla chiarezza politica. La legge elettorale consente a liste diverse di adottare prima dell’ elezioni un comune programma di governo e di indicare un capo della coalizione. Una tale indicazione, in caso di accoglimento dell’eccezione di costituzionalità, avrebbe il solo effetto di un’indicazione politica e di far beneficiare le liste coalizzate di una soglia di accesso più bassa (2% in luogo di 4%), ma non più di attribuire un premio di maggioranza. La proposta corre il rischio di travolgere anche le liste bloccate, che sono graditissime ai vertici di tutti i partiti. Ma difendere la Costituzione dovrebbe essere un motivo sufficiente per rinunciare a un potere che la vanifica quanto agli artt. 51 e 67.