Le leggende sono dure a morire, e anche quella sulla “misteriosa” morte di Bellini non è da meno. Fino a quando le leggende sui grandi personaggi della storia fanno sì che tale alone di mistero non li faccia del tutto dimenticare allora va benissimo, ma se tutto si racchiude solo su tali fantasiose congetture, facendo dimenticare la realtà dei fatti descritti e testimoniati nei vari documenti e biografie, confondendo in tal modo la verità storica conclamata con la cosiddetta “vox populi” , allora si rischia di dimenticare i veri motivi per cui viene ricordato nel mondo il nostro Bellini, ovvero le sue Opere melodrammatiche. E poi sarebbe stata l’amante aristocratica russa, la contessa zarista Samoyloff, amante niente di meno di un altro quasi dimenticato compositore catanese Giovanni Pacini, a tramare tramite i Levys , che lo ospitarono ( dopo aver composto e dato al Teatro degli italiani a Parigi l’ultima opera I Puritani) nell’estate del 1835, ultimi mesi della sua vita, solo perché era allora in competizione con Bellini, come a dire che il successo di Bellini fosse stato sottratto a Pacini? Sarebbe assurdo solo pensare cose del genere, anche per il rispetto che dobbiamo ai due compositori catanesi.
E poi, quale sarebbe il senso e il fine di fare riesumare la salma del compositore dopo 176 anni dalla sua morte avvenuta a Puteaux ( sobborgo di Parigi) il 23 settembre 1835 per sottoporla ad indagini necroscopiche per verificare se Bellini sia stato avvelenato o meno?
Mi chiedo, inoltre, se chi ne chiederebbe la riesumazione per riverificare con strumenti moderni la causa della morte di Bellini sia informato su quante e quali risposte sono state date nel tempo da emeriti esperti all’improvvisa e precoce malattia che portò alla morte Bellini, nel fiore degli anni e nel momento del suo più grande successo, a partire dall’autopsia imposta dal re di Francia Luigi Filippo I d’Orleans, eseguita alla Facoltà di Medicina legale dell’Università di Parigi, dall’illuminare dott. Dalmas ad oggi. Ecco alcuni passaggi della necroscopia, considerata ancora oggi dagli esperti perfetta anche se avvenuta nella prima metà dell’ottocento, effettuata trentasei ore dopo la morte: “«Gli organi contenuti nella testa e nel petto erano intatti e perfettamente sani; non così quelli dell' addome, che furono trovati molto alterati e nello stato seguente: tutto il grosso intestino, cominciando dall'estremità anale del retto sino alla valvola ileocecale, era coperto da un'immensità di ulcerazioni della grandezza media d'una lenticchia, a fondo grigiastro formato da uno strato di pus che si spremeva con facilità…. L'estremità destra del fegato conteneva nel suo spessore un ascesso della grandezza di un pugno, pieno di denso pus giallo, omogeneo e del tutto compatto.” E concludeva “È evidente che il signor Bellini è morto per infiammazione acuta dell'intestino grosso, complicata d'ascesso al fegato. L'infiammazione dell'intestino aveva dato luogo ai sintomi di dissenteria osservati in vita”.
Se fosse stato somministrato, come qualcuno ha insinuato già dopo la morte, del mercurio (molto di moda allora) dato a dosi giornaliere, per avvelenare il nostro Bellini, non sarebbero passati inosservati alcuni aspetti, come riferisce il dott. Nino Cannavò, nel suo saggio “La causa della morte di Bellini”: “L’intossicazione da mercurio (questo è il veleno che affermano sia stato usato) provoca nell'organismo umano delle lesioni molto evidenti: stomatite, eczemi, pustole, caduta dei capelli, afonia, alterazioni psichiche, che sicuramente non sarebbero sfuggite agli amici, barone Agostino D'Aquino e il musicista Michele Carafa, che lo andarono a trovare, riuscendo con alcuni sotterfugi, negli ultimi giorni di malattia, ad entrare nella villa di Puteaux.”.
Lo stesso autore ricorda, nel suo saggio, aspetti che sono sati affrontati dai diversi biografi: che Bellini era di costituzione gracile e che da tempo, ricordiamo che nel 1830 si era già ammalato gravemente, aveva sofferto degli stessi sintomi che ha accusato a Puteaux ma che stavolta lo portarono alla morte. “L’epilogo infausto – conclude il dot. Cannavò – è stato determinato da uno shock vuoi settico, sostenuto dall' ascesso epatico, vuoi ipovolemico dovuto all'abbondante perdita di liquidi con la. diarrea, col sudore provocato da «li vessicanti» e da altre diavolerie terapeutiche delle quali non abbiamo notizia”.
Secondo il Prof. Giuseppe Sangiorgi (volendo rimanere nell’ambito siciliano) , così come riportato nel suo saggio “Ritratti”: “…i dati autoptici giustificano la diagnosi di amebiasi intestinale e di ascesso epatico ma l'episodio ultimo che trasse a morte Bellini in dieci giorni fu un episodio accompagnato da altissima febbre, da delirio, da convulsioni. Perché quell'episodio finalissimo ha tutta l'aria di essere stata una “setticemia” dovuta alla penetrazione nel sangue di germi infettanti attraverso l'adito aperto dalle ulcere intestinali. Setticemia, di solito, irreversibilmente mortale. Cadono quindi tutti i velami di mistero creati attorno alla fine dell'Orfeo Doric”.
Lasciamo che le leggende continuino a vivere consapevoli della loro caducità temporale e nello stesso tempo lasciamo in pace i ‘sacri’ resti del nostro mai abbastanza compianto Bellini evitando ulteriore accanimento con l’ennesima riesumazione, peraltro non a fini conservativi.
Alfio Lisi
Catania