Arriva oggi nei nostri cieli, dove sosterà sino a giovedì, la nube radioattiva provocata dall’incidente nucleare in Giappone. I controlli hanno dimostrato che comunque non corriamo alcun pericolo e il ministro della salute Ferruccio Fazio, già da ieri, ha rassicurato circa l’inesistenza di qualsiasi tipo di rischio. Le particelle di questa formazione qualche anno fa non sarebbero stati nemmeno misurabili dalle apparecchiature di allora, meno sofisticate di quelle disponibili oggi, ha detto Giancarlo Torri, esperto dell’Istituto Superiore di Sanità. Quanto ai 220 italiani di ritorno dal Giappone e sottoposti nei centri specializzati a test per individuare la presenza di eventuali sostanze cancerogene (iodio, cesio, stronzio), i risultati sono stati costantemente negativi. Inoltre, sulla base di un provvedimento ministeriale che, a tre giorni dal danno procurato dal terremoto alla centrale di Fukushima, ha disposto il rafforzamento della vigilanza, si evince che vi è alcuna traccia di contaminazione negli alimenti importati dalle zone colpite dal disastro e monitorati dagli uffici di sanità marittima e aerea. Intanto, dopo le prime “spericolate” dichiarazioni del ministro Romano, Palazzo Chigi si accinge a trattare il nucleare con maggiore prudenza e sta studiando, a quanto si legge su Il Tempo la possibilità di un anno di stop alla costruzione di nuove centrali sul territorio nazionale. Oggi il provvedimento, che riguarda la localizzazione dei siti e le realizzazioni degli impianti, dovrebbe essere all'esame del Consiglio dei ministri. Una decisione, quella dell'esecutivo, che certamente ha tenuto conto dei sondaggi sull'argomento. Quasi il 90% degli italiani, infatti, preferirebbe investire nelle energie rinnovabili che nel nucleare. E 17% ha cambiato idea sulla sicurezza atomica in seguito al dramma nipponico (dati Mediawatch). Del problema ha parlato anche il presidente della Repubblica, che ha messo l'accento sull'importanza di sviluppare la ricerca di fonti rinnovabili, sottolineando come sia “indispensabile individuare nuovi modelli e strumenti capaci di coniugare lo sviluppo economico con la rigorosa salvaguardia del pianeta e dei suoi equilibri ambientali”. Intanto in Giappone continuano le scosse e l’allarme alla centrale di Fukushima. Tre le scosse nella giornata di ieri. Una di magnitudo 6.2 è stata registrata alle 18.44 locali (le 10.44 in Italia) nelle prefetture di Miyagi e Fukushima, già devastate dal maremoto dell'11 marzo. L'epicentro è stato individuato a circa 200 km al largo della costa di Iwate, nelle acque del Pacifico, a una profondità di 10 km. Mezz'ora prima, alle 18.19 locali, un'altra scossa di magnitudo 6.3 sempre nella prefettura di Fukushima. Alle 17.33 è stato il turno della prefettura di Ibaraki, dove la magnitudo è stata di 4.7. Fenomeni che certo non contribuiscono a tranquillizzare la popolazione, mentre il numero delle vittime continua a salire. Per ora si parla di 9.080 morti, 13.561 dispersi e di circa 310 mila persone che sono ancora nei 2.100 rifugi di emergenza approntati nelle zone colpite. Inoltre, a Fukushima, un una delle vasche di stoccaggio per il combustibile esausto ieri la temperatura ha raggiunto il punto di ebollizione. E il funzionario dell'agenzia per la sicurezza nucleare Hidehiko Nishiyama ha spiegato che ciò potrebbe essere la causa del vapore che fuoriesce dal reattore 2 da oltre 24 ore. Se l'acqua nella vasca si mettesse a bollire e il livello si abbassasse tanto da far emergere le barre di combustibile, la radioattività aumenterebbe ulteriormente. La Tokyo Electric Power Co. ha riferito che le linee dell'energia elettrica sono state ormai riallacciate in tutti i 6 reattori e questo dovrebbe riattivare le procedure di messa in sicurezza, ma sono molti ormai a diffidare. Resta in piedi, inoltre, il grave allarme sul cibo contaminato. Le autorità hanno chiesto controlli rafforzati sul pesce e i frutti di mare dopo la scoperta di livelli elevati di sostanze radioattive lungo la costa vicina al luogo dell'incidente. I tassi di iodio 131 e cesio 134 riscontrati in mare sono superiori alla norma e questo crea molto allarme e grande preoccupazione. Da ieri, la Francia, ha chiesto alla Commissione europea di imporre un “controllo sistematico” alle frontiere dell'Unione sulle importazioni di prodotti freschi dal Giappone. E continua la serie negativa della borsa di Tokio, che anche ieri ha perso terreno quando é stata resa pubblica la notizia che il livello di radiazioni presente nell'acqua dei rubinetto cittadini a Tokyo la rende inadatta a essere consumata dai bambini. Arrivata a perdere circa il 2%, con l'indice Nikkei che ha chiuso in calo di 158,85 punti – 1,65% – e Topix che cede 0,81%, la situazione borsistica fra intravedere un futuro difficile per l’intero Paese, con gli investitori concentrati soprattutto sui costi elevatii della ricostruzione, dopo l'ultima stima di Tokyo, che parla di danni per 16.000/25.000 miliardi di yen, circa 150 miliardi di Euro. Ma l’incidente nucleare in Giappone ha avuto ripercussioni molto più ampie a livello economico internazionale, affondando i mercati delle commodities e accelerandone i ribassi fino a produrre in alcuni casi un vero e proprio crollo dei prezzi. Persino l'oro è stato scaricato dai portafogli degli investitori, probabilmente costretti a fare cassa per rispondere alle pressanti richieste di reintegro dei margini di garanzia: il metallo giallo è sceso di oltre il 2%, sotto 1.400 $/oncia. Il petrolio, nonostante le violenze in Nord Africa e Medio Oriente, è arretrato di oltre il 4%, tornando nel caso del Brent a 108,52 $/barile. Perdite superiori al 4% ci sono state anche tra i metalli non ferrosi e tra i prodotti agricoli. Tornando poi alla riflessione sul rischio nucleare della Ue, secondo una lista su cui lavora la Commissione e che è stata fornita a TMNews da una fonte di Bruxelles, l’Italia, con tre Paesi (Portogallo, Grecia e Romania), sono quelli ha più alto rischio per l’incidenza di possibili terremoti, oltre i 7 gradi della scala Richter. In Italia, i terremoti con magnitudo superiore ai 6 gradi della scala Richter, che hanno fatto molti danni e vittime nella Penisola dall'inizio del secolo scorso a oggi, sono almeno sette, fra cui il più devastante di tutti è stato quello di Messina e Reggio Calabria (1908), seguito da un vero e proprio tsunami con onde fino a 13 metri, e con circa 120.000 morti. Una tragedia che dovrebbero ricordare coloro che dicono che in Europa non sono possibili catastrofi come quella giapponese. Prima dell'Aquila (2009), ci sono stati poi i terremoti di due terremoti dell'Irpinia (nel 1980 e nel 1930, con 2.570 e 1.400 morti rispettivamente) quello del Friuli (1976), con 989 vittime, quello del Belice (1968) con 236 morti e quello di Avezzano (1915) con 32.610 morti. Portogallo e Grecia, come l'Italia attualmente, non hanno centrali nucleari e de quattro “a rischio”. solo la Romania produce energia atomica ( con due reattori a Cernavoda). Nel dibattito sul giro di vite che ora si vuol dare alla sicurezza nucleare e sui parametri degli 'stress test' (test di resistenza) che verranno effettuati sulle centrali atomiche nell'Ue – secondo una decisione non ancora presa formalmente ma data ormai per scontata – uno dei più rilevanti sarà naturalmente quello della resistenza degli impianti a terremoti e maremoti, di intensità simile a quelli che hanno messo in ginocchio il Giappone e scatenato il rischio nucleare. D'altra parte, già oggi la costruzione di ogni nuovo reattore deve essere notificata alla Commissione europea, che indirizza 'raccomandazioni' su eventuali modifiche da apportare ai progetti, se sono considerate necessarie a garantire un alto livello di sicurezza: già in queste procedure si tiene ampiamente conto del rischio sismico, oltre che, dopo l'11 settembre 2001, dei rischi di attentati terroristici e attacchi aerei. Bruxelles ha chiesto, ad esempio un severo 'upgrade' dei dispositivi di sicurezza previsti nella centrale rumena di Cernavoda, per tener conto del fatto che è situata in una zona sismica, dopo la notifica da parte di Bucarest del progetto di costruire sul sito due nuovi reattori. Ricordo che nell’aprile 2008, prima del sisma aquilano e molto prima del disastro giapponese, nel corso del workshop “Enea e la ricerca sul nucleare”, svoltosi a Roma, contrariamente a quanto sostenuto dal presidente dell’Enea Luigi Paganetto, il prof. Rifkin, presidente della Foundation On Economic Trends, dichiarò che: “il nucleare ormai è un’opzione perdente, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale”; aggiungendo che attualmente, nel mondo esistono 439 centrali che producono solo il 5% del fabbisogno energetico e per di più sono obsolete, dispendiose e poco sicure. “Per arrivare al 20% – calcolò il professsore – bisognerebbe iniziare a costruire tre impianti ogni 30 giorni per 60 anni!”. Quindi, a suo avviso, il nucleare, “è puramente politico, non é un’opzione industriale. Bisogna poi considerare – aggiunse – che non sappiamo ancora cosa fare delle scorie e che si stima che al 2025 si andrà incontro ad un deficit di uranio. Inoltre, non vi è sufficiente acqua per raffreddare gli impianti. Basti pensare – citando un esempio – che la Francia, il paese più nucleare del mondo, è costretta a impiegare il 40% delle risorse idriche che consuma per raffreddare le centrali”. E tutto questo ignorando Fukushima.