Conversazione con Sergio Luzzatto di Sergio Luzzatto
La presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche d’Italia non costituisce una violazione del diritto alla libertà di coscienza dei ragazzi e alla libertà d’educazione dei genitori. Questo ha sancito, con sentenza definitiva, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, a proposito del caso che opponeva la signora Soile Lautsi al governo italiano. E questo hanno salutato – con comune soddisfazione – le autorità della Repubblica e quelle della Santa Sede.
Adesso la parola passa ai giuristi, che avranno modo di studiare il dispositivo della sentenza e di pronunciarsi intorno alla sua maggiore o minore solidità. Ma fin d’ora appare lecita qualche considerazione a margine da parte di chi – come il sottoscritto – giurista non è: e che pure si è occupato della questione, da storico, in un libretto recentemente uscito da Einaudi, Il crocifisso di Stato.
La prima considerazione è di ordine culturale. Sentenziando che “il crocifisso sul muro è un simbolo essenzialmente passivo”, e che manca qualunque prova di una sua reale influenza sulla personalità degli scolari, la Corte di Strasburgo ha compiuto un passo concettualmente azzardato e, insieme, ha dato luogo a un precedente insidioso. Ha compiuto un passo concettualmente azzardato, perché resta da capire – adesso – che cosa mai distingua un simbolo attivo da un simbolo passivo. Ha creato un precedente insidioso, perché di qualunque altro simbolo si potrà argomentare, in futuro, che manca la prova di una sua reale influenza sui ragazzi. Si potrà dirlo non solo del crocifisso dei cristiani, ma anche (un esempio vale l’altro) della mezzaluna dei musulmani, o della falce e martello dei bolscevichi, o della croce uncinata dei nazisti, o della croce insanguinata del Ku Klux Klan.
La seconda considerazione è di ordine politico. Sentenziando che “non compete alla Corte di prendere posizione in un dibattito fra le giurisdizioni interne” di uno Stato membro, i giudici di Strasburgo hanno rinunciato a dirimere i contrasti delle istituzioni italiane (Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Corte costituzionale), che in materia di crocifisso negli edifici statali non sono mai riuscite a trovare, negli ultimi quindici anni, un accordo né di forma né di sostanza. Dunque, la palla è adesso nel nostro campo: è nel campo della politica italiana, dove potrebbe pur manifestarsi un qualche partito interessato a legiferare in materia. Senonché, ad oggi, l’unico che risulti essersi attivato è la Lega Nord: la quale ha recentemente proposto di rendere il crocifisso obbligatorio in tutti gli uffici pubblici della Regione Lombardia. Mentre restano mute, mutissime, tutte le forze politiche – dal Partito democratico all’Italia dei Valori, passando per Sinistra e Libertà – da cui ci si potrebbe aspettare una battaglia in difesa della neutralità confessionale dello spazio pubblico.
La terza considerazione è di ordine storico. Sentenziando che il crocifisso nelle aule italiane attribuisce bensì alla “religione maggioritaria del Paese” una “visibilità preponderante nell’ambiente scolastico”, ma che questo primato non configura alcuna forma di “indottrinamento”, la Corte di Strasburgo ha segnato una netta soluzione di continuità rispetto a due secoli e mezzo di storia delle idee in Europa (oltreché rispetto a mezzo secolo di giurisprudenza della Corte stessa). In effetti, l’intera vicenda storica delle lotte per la difesa dei diritti dell’uomo muove dal principio della tutela delle minoranze a fronte di possibili abusi o soprusi delle maggioranze. Adesso, tale principio viene rivalutato al ribasso: con sorprendente nonchalance, non foss’altro in quanto una simile logica apre la strada – almeno in teoria – alla necessità di ogni genere di censimento o di conteggio su chi sia maggioranza religiosa e chi sia minoranza entro un contesto geografico dato.
La quarta e ultima considerazione è di ordine teologico. Riesce difficile non giudicare inquietante la soddisfazione espressa dalla Santa Sede a proposito di una sentenza come quella di Stasburgo, che negando al crocifisso un potere di indottrinamento gli nega anche – se le parole hanno un senso – un valore di dottrina. A questi punti è arrivata, evidentemente, la Chiesa cattolica di oggi: a una tale ossessione di presenza nella sfera temporale da trascurare ogni scrupolo di presenza nella sfera spirituale. Fino a disconoscere al simbolo cristiano per eccellenza il suo messaggio sacro e (per chi crede davvero) il suo valore salvifico, pur di passare all’incasso (tutto politico) di un messaggio pelosamente profano.