La redazione IDV
Aprite bene occhi e orecchie perché l'ultimo provvedimento legislativo firmato dal governo è infinitamente più osceno di qualsiasi bunga bunga. La storia comincia appena sei mesi fa, ad agosto 2010, con il varo del 3° conto energia attraverso il quale venivano ridotte le incentivazioni all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, dispositivo valido fino al 2013. Un taglio generalizzato, che purtuttavia manteneva gli incentivi in misura adeguata a sostenere gli investimenti nel settore.
La risposta degli operatori era stata rilevante. Al dicembre 2010, solo per il fotovoltaico, erano state presentate domande per un totale di potenza nominale di oltre 8 megawatt, l'equivalente in termini di energia di una centrale nucleare e mezzo circa.
Invece di manifestare soddisfazione per la risposta del settore, unico in tutta l'industria a crescere in fatturato, occupati e utili, il governo, per bocca del ministro Mediaset Romani, si mostrava molto preoccupato di questa crescita e riproponeva di azzerarla col decreto legislativo di attuazione della direttiva europea sulle rinnovabili. Dopo la solita schermaglia con la Prestigiacomo, come sempre persa senza onore dalla ministra soprammobile, il decreto è stato varato dal governo e contiene una misura che annulla del tutto gli investimenti preventivati e parte rilevante di quelli in fase di realizzazione.
Di cosa si tratta? Di fatto vengono annullati, guarda caso solo per il fotovoltaico, tutti gli incentivi previsti dal 3° conto energia dell'agosto scorso.
In questo blocco incappano tutti gli impianti non ancora allacciati alla rete elettrica ad eccezione di quelli che entreranno in funzione entro il 31 maggio di quest'anno, una esigua minoranza rispetto a tutti coloro che hanno fatto richiesta.
Per quelli che sopravvivono l'incentivo si riduce del 14% (da 34,6 a 30,3 centesimi per chilowattora, ma, a partire da giugno prossimo, il governo emanerà un altro decreto per stabilire un ulteriore taglio degli incentivi, non ancora quantificato ma che abbatterà quasi del tutto i sostegni previsti per il 2011, 2012 e 2013 dal vigente Conto Energia.
Se si pensa che per l'allaccio di un impianto di piccole dimensioni occorrono almeno 80 giorni lavorativi, che salgono a 150 per un impianto più grande, come la copertura del tetto di un capannone, anche per gli impianti già finiti rientrare nei tempi sarà un terno al lotto. In questo quadro di incertezza è evidente che nessun operatore può investire nel fotovoltaico, tanto che pure coloro che sono in stato avanzata realizzazione stanno subendo pressanti richieste dalle banche di nuove, ulteriori garanzie, pena il blocco dei mutui e il loro rientro.
Ma Romani non si è fermato qui: nel decreto ha ottenuto di stabilire il volume massimo di nuova potenza allacciata alla rete per l'anno in corso a 8 megawatt di fotovoltaico, sempre osteggiato dalla strenua sonnolenza della Prestigiacomo.
Un'inspiegabile accanimento contro la più promettente delle energie rinnovabili, quella fotovoltaica, mentre niente si dice dell'eolico, che ha incentivi ancora maggiori e impatti ambientali ben più rilevanti. Certo, nel solare fotovoltaico non è stato mai interessato (meglio sarebbe dire implicato) Denis Verdini.
Il motivo addotto da Romani, che ha così prevalso sull'eroico pigolio della Prestigiacomo, è stato il costo degli incentivi per il fotovoltaico (800 milioni per il 2010) senza ricordare che questa cifra corrisponde al costo in bolletta, per un utente medio, di soli 60 centesimi al mese e che in mezzo a questi spiccioli vanno conteggiate anche le famigerate “fonti assimilate”, in pratica gli scarti delle raffinerie di petrolio. Se proprio si voleva ridurre il peso delle incentivazioni si poteva cominciare da lì, dove s'annidano i vantaggi illeciti dei cementifici e delle raffinerie, con costi ambientali e sanitari enormi.
L'unica spiegazione è che il governo abbia deciso di chiudere il fotovoltaico per dare spazio al nucleare. Altro che convivenza, altro che mix: questo è un vero e proprio atto di cannibalismo.
La morale è semplice: il referendum contro il nucleare non costituisce soltanto uno strumento per la difesa della salute e dell'ambiente ma anche un mezzo potente per salvare un settore strategico dello sviluppo italiano, quello della green economy, e per avviare il paese in direzione di uno sviluppo innovativo, che punti su energie compatibili e generatrici di occupazione, come quelle delle rinnovabili.
Paolo Brutti