Un’evoluzione laica dell’uomo

di Giordano Fossi

L’evoluzione dell’uomo, che alcuni si ostinano a chiamare una teoria, non è altro che la ricostruzione storica di eventi sulla cui realtà non possiamo avere dubbi. Possiamo far cominciare i primi passi, incerti, su questa strada, con Linneo, che nel 1700 ritenne che le scimmie fossero antropomorfe senza pensare che esistesse un rapporto diretto, del quale si cominciò a parlare con l’anatomia e con la embriologia comparate. Darwin, infine, collocò il rapporto in un continuum che riguardava tutte le specie che erano vissute sulla Terra. Il XX secolo ha fornito tutte le prove che dimostrano la realtà dell’evoluzione: le tante migliaia di reperti paleontologici che non lasciano dubbi sull’esistenza di 4 miliardi di anni di graduale trasformazione della vita sulla Terra, fino ad arrivare alla comparsa del Sapiens sapiens, circa 250 mila anni fa, in Africa, quando l’evoluzione biologica si è fermata per lasciare il posto a quella culturale. La pleoantropologia ci ha descritto i principali cambiamenti morfologici cui siamo andati incontro nei milioni di anni dell’evoluzione, che a seconda del punto di partenza scelto risalgono a più di 7 o a più di 5. La paleoarcheologia ci ha poi mostrato le realizzazione della specie umana a cominciare dall’Homo habilis, che circa 2 milioni di anni fa era in grado di scolpire le pietre sotto forma di amigdale. Dobbiamo a queste discipline la nascita di una teoria empirica dell’evoluzione, ma il processo è andato ben oltre: la genetica (leggi di Mendel e mutazioni) e la biologia molecolare (i cromosomi, i geni e il DNA) hanno descritto come il processo sia avvenuto prima ancora della comparsa dello scimpanzé, con il quale abbiamo a comune il 98% dei geni. Anche se nel 1839 Darwin aveva affermato che l’evoluzionismo avrebbe cambiato la psicologia, solo nella seconda metà del XX secolo, quando il negare l’evoluzione poteva esser solo frutto di ignoranza o di una ideologia, l’attenzione degli evoluzionisti si è dedicata al prodotto della attività cerebrale: la psicologia evoluzionista. Prima di parlarne, voglio ricordare un episodio che le storie riferiscono come autentico: la moglie di un Vescovo anglicano chiese al marito di cosa parlava quel libro recente e tanto discusso di un certo Darwin. Appena ricevute le informazioni, allarmata esclamò: “Speriamo che non sia vero, ma se lo è, fate sì che nessuno lo sappia”. E così è cercato di fare. Prima si è cercato inutilmente di dimostrare che non era vero, poi di non far sapere alla gente cosa comporta accettare l’evoluzione, cioè la psicologia evoluzionista. Specie in Italia, dov’era ed è tuttora in ballo il grande potere della Chiesa. Per l’evoluzionismo, la struttura (e le modalità di funzionamento del cervello) sono quelle che hanno consentito ai nostri predecessori di sopravvivere e di riprodursi (fitness) e che ci hanno trasmesso come eredità biologica (filogenesi). Gli individui appartenenti a specie più evolute possono in parte modificare il loro comportamento grazie alle esperienze cui vanno incontro nella vita (ontogenesi). Nella specie umana, questa possibilità raggiunge limiti ai quali nessun’altra specie si avvicina. Questo si realizza senza nessun salto di qualità, né per quanto riguarda le specie che hanno preceduto quella umana e neppure durante i milioni di anni della ominazione Per esempio, l’Homo erectus, il cui cervello non pesava più di 900 grammi, era in grado di parlare, utilizzava il fuoco e le pelli, è andato a giro per almeno 3 continenti ed era un temibile cacciatore. In altre parole, non correva più gravi rischi per ciò che riguardava la selezione naturale, ma l’evoluzione è arrivata al suo massimo consentito, perchè la selezione sessuale metteva in gara i figli più intelligenti dei genitori più intelligenti. Andare oltre sarebbe stato letale per la madre (cranio del nascituro troppo grosso) o per un neonato troppo immaturo. Teniamo presente che è anche possibile tracciare un percorso che in 400 milioni di anni ha portato gradualmente alla comparsa della consapevolezza riflessiva e al cosiddetto libero arbitrio. Vediamo, a questo punto, cosa comporta un approccio evoluzionista alla nostra vita psicologica:
1) la ricerca neurologica ha dimostrato che il nostro cervello è in grado di realizzare quei comportamenti che attribuiamo alla spirito o all’anima e che i pattern nurologici specifici per ogni comportamento precedono la nostra decisione di attuarli. Le centinaia di milioni di anni di evoluzione cerebrale costituiscono una prova ugualmente importante;
2) tutti gli essere viventi sono ‘motivati’ a realizzare un comportamento-specie specifico, che consente di sopravvivere e di riprodursi. Nella specie umana, la modificabilità è eccezionale, tanto che è scontata la continua interazione per ogni comportamento fra una motivazione ‘distale’ o filogenetica e una ‘prossimale’ od ontogenetica. Ricordiamo che Freud ha affrontato questo tema non nei termini di funzionamento di strutture cerebrali, ma proponendo l’esistenza nell’inconscio di veri motivi diversi da quelli coscienti. Un approccio evoluzionista può spiegarci perchè ci innamoriamo, perché i maschi pensano solo a ‘quello’ e perché le femmine sono tanto romantiche, cosi come può spiegarci perchè facilmente soffriamo di emorroidi o di mal di schiena;
3) il contributo più importante dell’evoluzionismo, che riguarda tutte le discipline antropologiche, è la nascita di una visione del mondo evoluzionista al posto di quella creazionista. Si può dire che è difficile trovare un tema importante della nostra vita che non venga modificato: non ha senso parlare di superiorità razziale o maschile, di famiglie o persone scelte per guidare gli altri, di poter disporre di un’altra vita dopo la morte, dell’esistenza di condizioni reali non spiegabili scientificamente, di entità spirituali e così via. Per quanto riguarda le religioni, si tratta di costruzioni umane che soddisfano alcuni bisogni e concedono a pochi una posizione di potere, incrementando aspetti positivi o negativi nei credenti. Teniamo presente che nel cambiamento non dobbiamo rinunciare a nessuno degli aspetti positivi della nostra esistenza, mentre assisteremmo a una drastica riduzione, se non alla scomparsa, delle condizioni che hanno fatto della nostra Storia un museo degli orrori;
4) un ultimo importante settore che viene modificato da un approccio evoluzionista, riguarda la psicoterapia. Ritengo scontato che in ognuna delle centinaia di forme operino diversi fattori terapeutici, anche se non ricercati dal terapeuta. E che il fattore specifico proposto da ogni scuola nasca per intervenire su di un solo settore della vita psicologica (conoscenza, socialità, comportamento) per poi estendersi ad altre malattie mentali, dato che ogni forma di psicoterapia offre dei risultati positivi non distinguibili fra loro. La psicoanalisi evoluzionista parte dal presupposto che il campo di azione delle psicoterapie non si identifichi, se non in maniera molto parziale, con la cura di una malattia mentale, ma con l’aiutare le persona ad affrontare meglio le difficoltà inevitabili della vita, le sofferenze che derivano da differenze personali non patologiche e quelle inerenti alla ominazione (il disagio esistenziale). Per quanto riguarda la patologia non grave può aiutare i soggetti in varie maniere, sia agendo su di un piano generale (soddisfacendo alcuni bisogni, modificando le motivazioni o la visione del mondo), sia su come affrontare le cause esogene. Per quanto riguarda i disturbi gravi può essere utile per integrare una terapia farmacologica. Una psicoanalisi evoluzionista come forma di psicoterapia lunga può utilizzare gli interventi specifici delle altre scuole (per esempio di tipo comportamentale o familiare) per correggere alcuni sintomi, purché in accordo con il già ricordato terreno a comune. (Laici.it)

Ps: una completa visione dei problemi sollevati è trattata nei miei libri, ‘La psicoanalisi (evoluzionista)’ e ‘L’evoluzione dell’uomo (dal gene alla Psicoanalisi)’ – Edizioni EMMEBI, Firenze. Tel. 055.571175/ info@emmebiedizioni.it

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