Testimoni di giustizia e pentiti, abolito il programma di protezione

Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha più volte definito l’operato del suo dicastero “l’antimafia dei fatti”, snocciolando dati che riguardano beni mobili e immobili confiscati e nomi di boss e latitanti arrestati. Sarà difficile ora spiegare agli italiani perché lo scorso dicembre – ma la notizia è trapelata solo oggi – il governo non ha prorogato la Commissione centrale per i collaboratori di giustizia e i testimoni, organo politico-amministrativo che vaglia ammissione, revoca o modifica al programma di protezione di collaboratori e testimoni di giustizia.
La Commissione presieduta da Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno, oltre che da due magistrati e cinque esponenti delle forze dell’ordine, era inclusa tra gli organismi confermati presso il ministero degli Interni e soggetto a proroga discrezionale disposta con decreto del presidente del Consiglio, che scadeva appunto lo scorso dicembre.
E adesso? Senza protezione, è difficile credere che i testimoni di giustizia – cittadini incensurati che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri estorsori o di ribellarsi a un ambiente circostante che stride con i propri valori – credano ancora nella protezione dello Stato. Persone come la giovane Rita Atria, figlia e sorella di boss, che decise di raccontare tutto a Paolo Borsellino, al quale sopravvisse una settimana, suicidandosi il 26 luglio 1992, incapace di andare avanti senza lo “zio Paolo”. Persone come l’imprenditore edile Pino Masciari, testimone di giustizia, che nell’ottobre 1997 entrò nel Programma di protezione a seguito delle denunce presentate contro i propri estorsori. Da allora Masciari fu costretto a vivere in clandestinità, con generalità false e cambiando continuamente casa.
La Commissione centrale riguarda non solo i testimoni ma anche i collaboratori di giustizia. Come Tommaso Buscetta, che consegnò le proprie dichiarazioni a Giovanni Falcone, o come Gaspare Spatuzza: è proprio in merito alla sua vicenda che l’organo del ministero balzò agli onori della cronaca. Era l’estate 2010: il pentito rilasciò dichiarazioni su presunti legami tra Cosa nostra e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il senatore Marcello Dell’Utri. Decise di collaborare, ma le sue dichiarazioni furono date oltre i 180 giorni previsti dal regolamento: per questo gli fu negato il programma di protezione.
Un programma che adesso non esiste più, così come chi decide di mettersi al servizio della giustizia – sia esso un ex criminale o un onesto cittadino – non potrà più avvalersi di nuove identità, località segrete dove rifugiarsi, protezione speciale come le scorte. Succede anche questo, nel governo “dell’antimafia dei fatti”.

(Ma.De.)

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