Il coraggio di dire no. Dagli operai di Mirafiori una lezione per la sinistra

Sì ai diritti, No ai ricatti
Il coraggio di dire no. Dagli operai di Mirafiori una lezione per la sinistra

Hanno vinto i sì, col 54 per cento dei consensi. Per quel “voltagabbana” di Daniele Capezzone la consultazione ha “un valore storico, e sarà ricordata come la marcia dei 40mila o come il referendum sulla scala mobile. Ragionevolezza contro demagogia, modernità contro conservazione, serietà contro massimalismo”. Parole fuori dalla realtà, che forse nascondono il timore per non aver piegato nettamente una forza dissidente e nient'affatto isolata come la Fiom.

Andiamo per ordine ricostruendo le tappe. Era un referendum illegittimo e ricattatorio. Fino a pochi istanti prima del voto Marchionne aveva ribadito il concetto: se vincono i “no” abbandono l’Italia e vado ad investire all’estero. In questo clima i circa 5400 operai si sono recati alle urne, in cuor loro tutti erano per respingere l’accordo, ma il ricatto di perdere il lavoro era grande. Troppo grande. Ovvio quindi l’esito favorevole del referendum, si pensava addirittura ad un plebiscito (quello che auspicavano Marchionne e Berlusconi per infliggere un colpo mortale al “conflitto sociale” nel Paese). Così non è stato. Tra gli operai hanno prevalso i sì per 9 miseri voti.

Per i no è tutt’altro che una sconfitta. La Fiom passa dal 22 per cento dei consensi al 46. E pensare che da una parte persiste un blocco filo-padronale imperioso: Confindustria, Berlusconi, Terzo polo, molti esponenti di primo piano del Pd, Cisl e Uil, magari con spiegazioni e sfumature diverse, si erano tutti schierati per il sì. Dall’altra la Fiom, con il sostegno dei Cobas, a battersi per la difesa dei diritti sanciti dalla Costituzione e che migliora il risultato ottenuto a Pomigliano. Questo è il punto. Dalle resistenze delle tute blu, come dagli studenti o dai movimenti per la difesa dei “beni comuni”, si è messo in moto un percorso di costruzione di alternativa nella società da cui può partire una nuova stagione di lotta. La sinistra, quella vera, deve ripartire da qui.

Il referendum a Mirafiori non è solo una vertenza metalmeccanica, ma parla a tutti noi. Parla di difesa di dignità, di rispetto del lavoro, di diritti, di democrazia, di modello di società. Da Pomigliano è iniziato un percorso che passando per il 16 ottobre ci porterà allo sciopero Fiom del prossimo 28 gennaio. Una mobilitazione che non subisce, quindi, battute d’arresto con questo referendum ma che anzi rincara la dose pretendendo che la Cgil convochi subito uno sciopero generale contro “ogni forma di autoritarismo”. Una Fiom che è tutt’altro che domata e che, con il suo 46 per cento, farà sentire la sua voce a Mirafiori, malgrado il vergognoso illecito di togliere la rappresentanza sindacale a chi non riconosca questo accordo truffaldino.

Non esiste nessuna “firma tecnica” possibile e in questo Landini fa bene ad insistere fin dal primissimo momento. Forse Capezzone e Marchionne sono preoccupati proprio di questo: il conflitto sociale è appena agli albori e la Fiom sempre meno isolata. Allora se l’ad della Fiat ha iniziato l’offensiva non si può che rispondere parafrasando Edoardo Sanguineti: “Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto?”.

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