REFERENDUM A MIRAFIORI

Mi sembrava effettivamente strano che il referendum alla FIAT di Mirafiori potesse passare con largo margine (come sembrava da qualche troppo ottimistica previsione) perché è difficile ottenere un “si”quando – nel segreto dell’urna – in qualche modo vai a danneggiarti, nel senso che ti obblighi a lavorare un po’ di più ed a perdere alcuni diritti sostanzialmente acquisiti.

Ma il “si” ha vinto perché la maggioranza dei dipendenti FIAT ha avuto il coraggio di rischiare in proprio per il bene di tutti.

La FIOM-CGIL potrebbe ironizzare che il bene della FIAT è quello “del padrone” ma – a parte il fatto che la FIAT è semmai di migliaia di suoi azionisti e di chi ci lavora – non c’è dubbio che il favorire un investimento di miliardi di euro contribuirà a mantenere in Italia dei posti di lavoro, un indotto importante oltre a sottolineare un simbolo del nostro paese.

Credo che il voto dei lavoratori FIAT abbia comunque sottolineato la grande differenza e il grande distacco che oggi si è creato tra chi il lavoro ce l’ha e chi spera di averlo: quante centinaia di migliaia di disoccupati sarebbero stati pronti a correre in FIAT e farsi assumere alle condizioni proposte dall’accordo, se mai fosse stato possibile ? Credo tantissimi, perché l’Italia è purtroppo colma di giovani con una laurea ma senza lavoro, di gente volonterosa ma che non trova spazio, soprattutto di gente che rischia di non essere più inserita in una rete di solidarietà.

Dobbiamo renderci conto che i “diritti acquisiti” sono stati ottenuti in un momento economico molto di verso da quello di oggi e che soprattutto siamo ormai in un mercato così globale dove non è possibile galleggiare se in qualche modo anche l’incidenza del costo di lavoro non sia omogenea con la concorrenza. Produrre automobili non può essere diverso in Europa, in Giappone o negli USA e quindi anche in Italia deve mantenersi in linea con i costi europei. Questo non deve valere solo “al ribasso”, ma puntando piuttosto anche “al rialzo” per miliardi di persone che ogni giorno lavorano per un euro in decine di paesi dove lo sfruttamento è inimmaginabile rispetto alla disquisizione se due soste da dieci minuti durante un turno siano più o meno accettabili.

Ma restano due considerazioni amare: per chi in Italia è inserito nella rete delle sicurezze sociali ci sono difficoltà ma in fondo si sopravvive, ma questo non avviene più per milioni di emarginati in uno stato di progressiva difficoltà. Ecco l’importanza del voto in FIAT: dà una speranza di continuità produttiva per un paese che non può solo “consumare” ma deve saper produrre almeno in parte quello che consuma e che starà in piedi solo vendendo parte di questa produzione sugli altri mercati.

L’ultima osservazione è per la classe politica di cui faccio parte anch’io: meditiamo tutti che a Torino c’è gente che ha accettato un sacrificio e non possiamo essere credibili se, ciascuno per la propria parte, non rinunciamo ai troppi vantaggi di appartenere ad una specie di ceto privilegiato. Non si è credibili se con i fatti non si partecipa a questo sacrificio, almeno cominciando a dare tutto noi stessi per cercare di mantenere un impegno con i propri elettori.

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