Berlusconi strappa la fiducia ma ha il fiato corto

Martedì 14 dicembre il governo di Silvio Berlusconi per appena tre voti ha ottenuto la fiducia della Camera. Il suo leader ha esultato e ha menato vanto presso i colleghi europei (ignorando che la stampa internazionale ha registrato questo suo passaggio parlamentare solo come una vittoria di Pirro). Di questo in realtà si è trattato dal momento che in futuro le notti abitualmente insonni del premier non saranno più caratterizzate da occupazioni più piacevoli ma piuttosto impegnate nel frenetico lavoro di ricerca di parlamentari ‘responsabili' per le battaglie del giorno successivo, la cui affidabilità sarà comunque pari a quella dei soldati alemanni ingaggiati dai principi italiani del Cinquecento (che abbandonavano di punto in bianco gli assedi delle città se non gli arrivava in giornata il soldo promesso). L'esultanza di Berlusconi e associati è stata quella comprensibile umanamente di chi sente fuggire via il tempo vitale a disposizione e, pensando al poeta latino Orazio, anche lui adscribe lucro (mettilo a tuo vantaggio) ogni ostacolo superato nel percorso della sopravvivenza. Ma quanti parlamentari compiacenti, disponibili a “tradire” e a vendere la propria dignità, potrà conquistare il Governo in carica? In ogni caso non ne bastano alcuni, ne occorrono svariati poiché i Ministri non potranno stare sempre in aula a fare da stampella al Governo. A meno che Casini e il suo partito, in nome della “responsabilità” e in obbedienza ai richiami del Vaticano (vedasi considerazioni del Cardinale Bagnasco sulla stabilità del sistema politico italiano), non diano ascolto a Berlusconi e corrano in suo sostegno.
La verità è che è stato inflitto un altro colpo mortale al “berlusconismo”, ossia a tutta quella serie di simboli di cui si carica l'uomo che per circa un ventennio, al termine del suo mandato, avrà finito per caratterizzare nel bene e nel male questa fase della politica italiana. In questo senso chi ha condotto la battaglia parlamentare dai banchi dell'opposizione sa benissimo che un fenomeno di questo tipo esige i necessari tempi tecnici perché si possa esaurire. Infatti se la fiducia alla Camera fosse andata a segno il giorno dopo si sarebbe posta la questione sul cosa fare dato che una campagna elettorale dagli esiti incerti e con la possibilità di riproporre un Parlamento quasi fotocopia del precedente e, perciò, ancora più ingestibile sarebbe stato un rimedio peggiore dei mali.
Il berlusconismo, come way of life italiana, a ben vedere è solo la prosecuzione del craxismo (non a caso a Berlusconi è rimasta buona parte della guardia pretoriana che a suo tempo circondava l'amico Craxi). Ossia l'idea di un'Italia che, divenuta in quel frangente politico la quarta potenza economica mondiale, si rappresentava a se stessa come un paradiso terrestre dove tutti i sogni potevano diventare realtà. Questo Italian Dream ha raggiunto il suo culmine con l'ingresso in campo dell'uomo più ricco del Paese nel quale si è identificata la maggioranza degli italiani che lo ha sostenuto in questi ultimi anni. Questo sogno ha avuto il suo opportuno campo di espressione nella realtà di plastica delle tivù berlusconiane (e ultimamente anche quelle statali alle quali si è esteso il controllo del presidente del Consiglio) che sempre più intensamente, in termini soprattutto di scadimento morale e culturale, hanno gestito la formazione e l'informazione degli italiani.
In questo collettivo nascondere la testa sotto la sabbia si è dimenticato il Paese reale con i suoi veri problemi che andavano crescendo quanto più si sprofondava nella sabbia. Come un gatto che si morde la coda si lasciava andare a rotoli la scuola e l'università rendendo il Paese ancora più illetterato e quindi più debole rispetto alle sirene della frivolezza e della superficialità che provenivano dalla nuova scala di valori in cui si riconosceva buona parte del paese. Il senso di strapotere economico, ereditato dall'epoca craxiana, dava una sicurezza che non si basava su dati reali ma solo su macrocomparazioni economiche e accostamenti statistici che tuttavia nascondono dietro gli apparenti piccolissimi scarti percentuali, realtà che sono abissali, come quella della produzione, dell'occupazione e della competitività nelle quali la nostra Italia è gravemente carente.
Cosa accade, dunque? Accade che finalmente l'Italia si ‘desta' (più di tutti i giovani che sono le prime vittime di questa assenza di futuro) e si sta rendendo conto che è ora di guardare in faccia la terribile realtà di conti pubblici dissestati, di una crescita quasi zero e di una disoccupazione da nazioni sudamericani, mentre il morale del nostro Paese – come lo ha fotografato di recente il Censis – è letteralmente sotto i tacchi.

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