Mafie al nord

UN MINISTRO DELLA REPUBBLICA NON PUO’ PORGERE L`ALTRA GUANCIA AD UN LIBERO

CITTADINO.

Il clan dei Casalesi ha ricevuto un colpo duro, con l’arresto di Antonio Iovine, latitante da quattordici

anni e uomo di Sandokan, alias Francesco Schiavone. Non ho mai pensato che gli arresti siano azioni

di governo, non mi sono mai piaciute le conferenze stampa in cui il ministro di turno parla come se avesse

agito personalmente, ma so che certe operazioni sono possibili se sostenute e coperte.

Istituzionalmente e politicamente. Sicché attendiamo un monologo televisivo di Roberto Saviano,

che festeggi il successo e si complimenti con le autorità che lo hanno reso possibile, che hanno già

manifestato la loro soddisfazione. A cominciare da Roberto Maroni. Ministro dell’Interno ed esponente

della Lega.

Non è una questione politica, non avrei ricordato la militanza politica del ministro, se non fosse che la

questione politica è stata sollevata da Saviano, e ora tocca a lui continuare il discorso. Perché,

sia chiaro, a noi preme che tutti possano parlare, ma suggeriamo a ciascuno di non credere d’essere

l’unico in grado di farlo.

Dopo la prima puntata scrissi della desolazione con cui avevo ascoltato le parole del giovane scrittore,

capace di mettere al proprio fianco Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma incapace di indicare i loro

avversari, quelli che li vinsero, isolarono, neutralizzarono. Peccato, lo ripeto, quell’assenza di coraggio è

stata uno spreco del tempo televisivo, una devastazione della memoria. Una settimana dopo Saviano

ci ha intrattenuti su una cosa che sembrava essere una rivelazione: la delinquenza organizzata è presente

al nord, ha permeato l’economia “onesta”, ha avvelenato gli appalti pubblici e gli affari privati. Andrea

Pamparana (da ultimo con “Malcarne”) ed Enzo Ciconte (da ultimo con “‘Ndrangheta padana”) ne

scrivono da anni. Per citare solo loro due, che Saviano non ha citato.

Non ha senso, però, contrapporre la battaglia contro queste presenze a quella contro altre, e ben diverse,

clandestinità. Non ci vuole un genio per capire che le organizzazioni criminali hanno due

caratteristiche: esercitano un controllo pressante e investono soldi, riciclandoli e creando altra ricchezza.

Alla popolazione civile si deve chiedere di essere dalla parte dello Stato e delle forze dell’ordine, ma

non si può chiedere di sostituirsi a loro. Lo Stato è presente in molti settori dai quali potrebbe e dovrebbe

uscire, ma l’ordine pubblico e l’uso della forza sono affari che lo riguardano in esclusiva. Ieri ha dimostrato

di saper agire, e i cittadini plaudenti hanno dimostrato di sapere reagire. Gli converrà prenderne atto e

complimentarsi, se non vorrà apparire quale esponente del partito più banale e conformista che

esista: il partito preso.

Combattere le infiltrazioni al nord, da parte dei criminali siculi, calabresi o campani, significa combattere

le loro ramificazioni finanziarie. E’ pericoloso. Ai tutori dell’ordine si riconoscono facilmente i meriti per gli

arresti dei latitanti, meno per le indagini sui conti bancari e le società falsamente intestate. Ne sanno

qualche cosa i carabinieri che lavorarono al rapporto “mafia appalti”, collaborando con Falcone e Borsellino.

Occultando quel capitolo, seppellendolo nell’amnesia, Saviano ha indebolito proprio il lavoro più importante,

nel colpire il riciclaggio e il reinvestimento. Se ne renda conto e rimedi. Senza credere che sia una buona

idea supporre di essere quello che ha scoperto il mondo, l’unico combattente, la sola voce libera. Anzi,

liberi la sua voce dai condizionamenti del successo e trovi le parole per rimediare.

Scritto da Davide Giacalone

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