Nuovo incontro culturale presso l’Appia Palace Hotel di Massafra, organizzato dal Rotary Club Massafra. “La devozione alla Beata Vergine del Rosario a Mottola e Ginosa” è stato il titolo della serata che ha visto relatori la prof.ssa Maria Carmela Bonelli (docente di Religione Cattolica, esperta di storia locale, laureata in Storia e Conservazione dei Beni Artistici e Archeologici, giornalista, Dama dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, relatrice in vari convegni,…) e il dott. Vito Fumarola, (laureato in Storia e Conservazione dei Beni Artistici e Archeologici, segretario dell’Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Castellaneta, docente del Corso di Storia e Arte 2009/2010 dell’Università della Terza Età di Noci e tra i fondatori, insieme ad altri, dell’Associazione “Il Centro di Ricerca, Studio e Catalogazione dei Beni Culturali di Puglia – Onlus. Il dott. Fumarola ha tenuto una relazione sul culto della Beata Vergine del Rosario a Mottola, che ci auguriamo poter pubblicare quanto prima. Intanto qui di seguito riportiamo (è tutta da leggere) la sua relazione.
“Ginosa e Maria SS.ma del Rosario… Un antico ed inscindibile legame”. La relatrice ha iniziato proprio con queste parole “Un antico ed inscindibile vincolo lega Ginosa a Maria SS. del Rosario” (ved. foto). Ha continuato: “ E’ un tutt’uno, che ha il suo “cuore” nell’antico paese, abbarbicato sui massi tufacei e lungo lo stretto pianoro, che dolcemente si protende verso il severo maniero: la Chiesa Madre.Quella chiesa, la cui mattonata è stata consumata dai nostri progenitori: pastori, contadini, signori, amministratori e donne. Le tante donne, spesso sole nella fatica del viver quotidiano, private dei mariti e dei figli, partiti per le Americhe o per la guerra che straziava l’Europa.Duecentoquarantasei anni fa, la pietà popolare volle dedicare alla Madonna del Rosario proprio il tempio posto a guardia della gravina, in un angolo incantato, di gran fascino e suggestione, dove si respirano storia ed arte, lungo un percorso che, gelosamente, serba l’intreccio di destini, forgiati dalla Fede e dal lavoro.Quanto tempo è passato da quel lontano 1765, quando – fra il tripudio della gente del posto e dei tanti fedeli convenuti dai paesi limitrofi – la Madonna del SS. Rosario veniva elevata ufficialmente a Patrona di Ginosa. Elezione, questa, coronata dalla costituzione della Confraternita del SS. Sacramento e Rosario, riconosciuta nel 1792 da Ferdinando IV di Borbone. Eppure, il secolare culto, non è stato scalfito dalla profondità temporale, anzi, si è rafforzato e, ieri come oggi, rischiara il cammino in tempi di angosce e futuro nebuloso.La ventata di modernità, che con la sua smania di rinnovamento ha modificato il modo di intendere la vita, spazzando usi e costumi consolidati e svuotando le case del borgo poste a corona della Matrice, non ha intaccato il trasporto per la Vergine del Rosario, con tutte le sue genuine espressioni, pubbliche e familiari, segno della spiritualità intensa, con cui la nostra gente anela e si accosta al sovrannaturale.Un sentimento radioso, mai scaduto nel ritualismo, salvo dalle maglie di quella che, senza mezze misure, possiamo definire la “congiura dell’indifferenza”. Il tempo ha infatti rafforzato il “rapporto” con la Madonna, e la processione – che perpetua e rinnova il legame con l’Augusta Patrona – snodandosi sotto la luce iridescente del caldo sole d’ottobre, ne è la più sentita espressione.Il simulacro, che ha sostituito la statua donata nel 1732 dal marchese Spinola Alcanices de Los Balbases, è di pregevole fattura. Il volto è luminoso, dolcissimo, incorniciato da una cascata di morbidi riccioli. Il sontuoso abito, dai raffinati serti floreali, è completo di un mantello che, posato sulle spalle, lascia scoperto il braccio su cui poggia il Bambin Gesù.Il corredo della Madonna include diverse vesti; notevole è l’oro votivo, i cui pezzi più significativi vengono posizionati, dal Priore e da alcuni membri della Confraternita, fra la mezzanotte del sabato e l’una della domenica, nell’assoluto silenzio dei devoti che trascorrono la notte in preghiera.I festeggiamenti, che non conoscono interruzioni, si tennero anche nell’ottobre del 1903, anno in cui – per arginare un’epidemia di vaiolo, che aveva già versato nel lutto diverse famiglie – il Prefetto si vide costretto a vietare pubblici assembramenti, processioni e fiere. Tuoni e fulmini!Il malumore della popolazione, acuito dal divieto delle feste, era forte e continue ed incalzanti domande venivano rivolte al Sindaco ed all’Ufficiale Sanitario per ottenere l’abrogazione del Decreto Prefettizio. La promessa che le feste si sarebbero tenute appena le condizioni igieniche fossero migliorate, non calmava le ire bollenti dei caporioni e del volgo, i quali – attribuendo il diffondersi dell’epidemia alla sospensione del culto per la Protettrice – la sera del 2 ottobre davano vita ad una dimostrazione ostile, così pericolosa che, per evitare gravi tumulti, tutto si dovette svolgere regolarmente. L’epidemia dilagava “fra musiche e suoni di bengala” (Il vaiuolo nelle Puglie, 1905).La devozione raggiunse il culmine nel 1951, con l’avvio dei preparativi per la solenne incoronazione del 1952, approvata con entusiasmo da mons. Vincenzo Cavalla, arcivescovo di Matera ed Acerenza.L’instancabile parroco don Peppino Cazzetta, che aveva assunto con massimo impegno la direzione dell’iniziativa, sostenne gli organizzatori, anche nei momenti di scoraggiamento.Tutta Ginosa si destò e l’eco giunse fino ai suoi figli lontani, i quali risposero all’appello con offerte ed epistole di incoraggiamento. Particolarmente cospicuo risultò l’aiuto degli italo-americani.
“Voi tutti che pur lontani, sentite nei cuori l’amore e la devozione verso Colei che ai genosini sorrise negli albori della prima giovinezza, della prima schiudente vita e che a tutti i cattolici è sempre Madre e Regina – si legge nel manifesto inviato dal comitato ai club dei ginosini residenti all’estero – voi tutti nella partecipazione dell’entusiasmo che travolge le anime, dovete prendere parte nella lontananza a questa solenne e grandiosa manifestazione colle vostre offerte e colla più calda e sentita devozione. Rispondete a questo appello e tributate alla Madre di Dio e alla Madre e Regina nostra l’omaggio di figli devoti, ricoperti dal Manto e allietati dal sorriso benedicente della Vergine SS.ma del Rosario Patrona di Ginosa”.Trascorsi dieci mesi di intenso lavoro, il 21 settembre del 1952 ebbe inizio una serie di manifestazioni, avviata dalla Missione Mariana. Per dodici giorni seguirono predicazioni nei diversi rioni della città. Ginosa intera, entusiasta, vedeva profilarsi la meta. La mattina del 6 ottobre, in piazza Marconi, l’eminentissimo Cardinale Aloisi-Masella poneva le due auree corone sul capo della Vergine Maria e del Pargol Divino. Concerti musicali facevano eco alla gioia e all’emozione del popolo, aerostati coloravano il cielo e fuochi d’artificio ripetevano il fremere della terra, dominata – nel lontano 1857 – dalla Celeste Mano.Anche il canto popolare “Alla Madonna del Rosario di Ginosa”, scritto e musicato nel settembre del 1952 dal compositore romano Gustavo Gravina, riporta questa storica protezione:
Al Tuo patrocinio possente,
Al Tuo validissimo impero
ristette la terra fremente,
fu salvo il Tuo popol per Te.
Parole, memorie, storie e con esse, nomi e volti sottratti all’oblio, i quali riemergono grazie ad un nuovo, evidente e diffuso interesse per le proprie radici storiche e religiose, opportunamente sostenuto dai sodalizi confraternali, sempre tesi ad approfondire la consapevolezza del proprio ruolo, nell’adesione al messaggio evangelico …Proviamo a volgere ancora uno sguardo verso il campanile: emana un fascino senza tempo che, come un dolce manto, avvolge tutto il declivio, dove oggi regna il silenzio, interrotto solo dal vento di tramontana.Proviamo a rileggere quello che per transito umano abbiamo ereditato e ne ricostruiremo l’origine, intessendone la presenza con la storia del paese e con le sue esigenze.Potremo così percepire e trasmettere agli altri la grandiosità di un anonimo dipinto, di un affresco offeso dal tempo, di una pietra intagliata da uno scalpellino abile, ma sconosciuto, poiché tutto questo non è l’esaltazione di una cultura superata, ma la prova che le profonde inquietudini si dissolvono solo nell’abbraccio universale, capace di donare slanci di inaspettata e straordinaria vitalità.Dove c’è l’uomo, c’è traccia di presenza cristiana, di esperienza viva. E qui, fra le mille e mille pietre che creano un mosaico monocromatico, illuminato solo dalla vegetazione e dai raggi del sole, la tenace opera dell’uomo ha trasformato l’ambiente in suo favore, legando la propria vita alla terra, in una grande lezione di civiltà e spiritualità, nella consapevolezza che tutte le cose – oltre il visibile – portano scritto più in là.Ieri come ora, poiché nella nostra civiltà opulenta, dove l’oggi viene immediatamente superato, dove ogni giorno è festa, i segni del Sacro restano quel punto fermo che indica ciò che è essenziale e perenne, oltre la prospettiva materiale e mondana della vita. Guardiamo ancora, ascoltiamo …
Mentre le fronde dei cespugli, baciate dal vento mormorano cantilene, par quasi di sentire un altro canto:
1. Ave Maria, o stella del mattino
illumina Ti prego d’ogni figlio il cammino.
Proteggi o Madre, le fìle de Genòse
ca stonne lundàne da’ vìe, Ave Maria.
(rintocchi di campana) Ave Maria.
2. Ave Maria, Tu porta sei del cielo
conduci a Dio chi muore sotto il tuo materno velo.
Accarezza o Madre
u nome d’òggne cròsce, de ci non tene vòsce. Ave Maria.
(rintocchi) Ave Maria.
3. Ave Maria, speranza della mia sera
pur se la voce è stanca, ecco l’ultima preghiera.
Proteggi o Madre, u fiòre de la jarvìne
la barca jìnde a marìne. Ave Maria. (2 volte)
(rintocchi) Ave Maria.
La melodia penetra nelle stanze della nostra coscienza e scuote il nostro essere. E’ il senso del tempo e della conterraneità sentita, partecipata, commossa, che va oltre le parole. Un brivido, un sussulto e poi, un’invocazione fiduciosa: proteggi nel Tuo abbraccio, o Madre, i tuoi figli, la gravina ed il suo più piccolo fiore, senza dimenticare il mare, con le barche che lasciano la riva. Maria Carmela Bonelli.
Ai due relatori complimenti da parte di tutti i presenti. Particolarmente apprezzati quelli del prof. Pietro Dalena, professore ordinario di Storia Medievale (titolare della cattedra di Antichità e Istituzioni Medievali) presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università della Calabria-Cosenza, dove è Presidente del Corso di Laurea in Storia e Conservazione dei Beni Culturali